Un turno come tanti, un turno qualsiasi

“D’accordo signore, non si preoccupi. Resti pure il tempo che vuole”

Turno pomeridiano. Le occhiaie, le mani screpolate, sguardo attento velato di tristezza, il reparto ospedaliero bianco, la divisa bianca da infermiera spezzata dal rosso dei miei zoccoli, penne, forbici, laccio, pinza, cerotto in tasca. Insomma, c’eravamo tutti.

Ero nel corridoio, ora della terapia, in lontananza dall’altro lato un signore anziano che si avvicina camminando con difficoltà, aiutandosi con un bastone. Notai che si fermò per qualche istante di fronte all’entrata di una stanza, fissando all’interno come se stesse spiando. Presa dalle flebo che stavo preparando, dalla fretta di riuscire a finire la terapia per tempo, sorvolai e continuai il mio lavoro.

Ore 17.00, esco dall’ultima stanza di degenza, recupero il carrello terapia. Mi giro e vedo lo stesso signore anziano, seduto su una sedia fuori nel corridoio, sempre con lo sguardo rivolto all’interno di quella stanza.

Mi avvicinai. Un uomo stanco, con il volto segnato dal peso di tutti gli anni e gli acciacchi della vecchiaia.

Signore, che cosa ci fa seduto qui fuori, nel corridoio del reparto?

Mi scusi signorina, so che non potrei star qui seduto nel mezzo del corridoio, ma la prego se può farmi restare qui per un po’. La vede la signora nel letto 9? Quella è mia moglie. Purtroppo non mi riconosce quasi più, anzi delira ogni giorno di più, gli 88 anni e la malattia hanno portato via quella persona che amo. Le chiedo solo di poter restare qua a guardarla da fuori senza che la mia presenza la agiti, vorrei starle vicino lo stesso anche se non è più lei. In un modo o nell’altro è mia moglie fino alla fine, lo saprà comunque che le sono vicino sempre.

La mia risposta, con voce sottile, non poté che essere: D’accordo signore, non si preoccupi. Rimanga il tempo che vuole.

Mi allontanai con il pensiero che avrei potuto dire altro. Ma cosa puoi dire? Me ne sono andata per trattenere le lacrime che mi aveva fatto scaturire la dolcezza di quell’anziano.

Ore 21.00. Fine turno, luci semispente nel corridoio. L’anziano signore era ancora lì, seduto. Lui, la sua storia, la loro storia, mi ha fatta riflettere.

Il gran carico di lavoro di noi infermieri, ci fa correre di qua e di là senza sosta per completare i nostri compiti, assistere tutti e risolvere le emergenze. Purtroppo se riuscissimo a soffermarci di più sulle persone, sui comportamenti e sui sentimenti, vedremmo quanto potremmo imparare dal nostro lavoro.

Non è solo un lavoro tecnico, ma un lavoro pieno di relazioni umane. Di fronte ad ogni situazione o persona, è la nostra sensibilità umana che si scuote e cresce e questo dovrebbe essere uno dei valori della nostra professione.

Personalmente, nei pazienti che ho incontrato, ho cercato di partire da questa sensibilità e se ci soffermiamo potremmo farne un bagaglio di vita. Sono alcune situazioni come queste che mi hanno portato a riflettere e cambiare molto la mia sensibilità verso la vita e gli affetti. Probabilmente se potessero provarlo tutti vivremmo in una comunità diversa.

È una sorta di scambio che facciamo, noi siamo promotori della salute e dell’assistenza e non finiremo mai di imparare l’importanza del valore umano.


Nonostante la vera realtà, le difficoltà che a volte ti fanno pensare di mollare tutto, il carico di lavoro negli ospedali, sono orgogliosa del mio lavoro, del bagaglio che cresce e che mi porto dietro, della soddisfazione che porto a casa a fine turno, dei grazie spontanei… e di quello che sono oggi. Soffermatevi di più.


Fonte: Nurse24.it