Sistemi di sorveglianza delle malattie infettive: una questione di salute pubblica.
La riemersione di numerose malattie infettive ha reso più che mai indispensabile il potenziamento di accurati sistemi di monitoraggio che, grazie al costante impegno di numerosi professionisti – tra cui gli infermieri – permettano di salvaguardare la salute della popolazione.
Controllare e ridurre la frequenza delle malattie infettive affinché non costituiscano più un problema di sanità pubblica: è questo l’obiettivo dei sistemi di sorveglianza.
E gli infermieri sono chiamati a parteciparvi, mettendo in campo la propria competenza nell’unire ai dati epidemiologici, le manifestazioni cliniche delle malattie per come queste vengono vissute dalle persone; determinarne l’estensione all’interno delle comunità e valutarne i rischi di trasmissione permette, infatti, di intervenire rapidamente e in modo appropriato.
Le malattie infettive hanno da sempre un peso significativo sulla sanità pubblica e sulla stabilità economica delle società di tutto il mondo e negli ultimi anni, complici l’ormai ben noto calo delle vaccinazioni, l’avvicendarsi del naturale ciclo epidemico delle malattie, come anche in alcuni casi, una minore immunità – basti pensare al vaccino contro la pertosse che, essendo di tipo acellulare rende necessari dei richiami durante l’arco della vita – molte di queste patologie stanno prepotentemente riemergendo.
Un dato osservato non solo tra i bambini ancora troppo piccoli per essere vaccinati, ma anche fra adolescenti e adulti, i quali, dimentichi dell’importanza di mantenere sempre elevato il livello di immunizzazione, non effettuano più i dovuti richiami.
Parallelamente, la crescente consapevolezza della pericolosità di queste malattie e il miglioramento dei sistemi diagnostici stanno portando sempre di più verso una maggiore capacità di intervento.
Diverse istituzioni si occupano di rafforzare e sostenere la sanità pubblica a livello internazionale e nazionale: dai Centri per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (CDC), all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), fino ad arrivare nel nostro paese, all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) con il Sistema Informativo Malattie Infettive (SIMI).
Basati essenzialmente sulla notifica di malattia da parte dei medici e spesso incentrati solo sulla diagnosi clinica, molti sistemi di sorveglianza rischiano però, nella loro eterogeneità, di non consentire la stima del reale impatto delle malattie nella popolazione.
Gli studi di ricerca
È per questo che può rendersi necessaria l’implementazione di studi di ricerca volti a ottenere dati epidemiologici, clinici e di laboratorio più completi, così da arrivare ad un migliore controllo delle malattie infettive.
Un aiuto importante in tal senso può derivare dall’istituzione di questi studi nell’ambito di sistemi di sorveglianza ospedalieri, fonti preziose di dati che permettono di unire alle diagnosi basate sulla sintomatologia clinica, la conferma degli esami di laboratorio, avendo come obiettivo ultimo la realizzazione di vaccini più efficaci e che inducano una protezione maggiore.
A tutti gli operatori sanitari viene dunque richiesto un potenziamento delle attività di sorveglianza e grazie alla costruzione di una vera e propria rete comunicativa, di migliorare la condivisione delle informazioni.
La sorveglianza delle malattie infettive ha di fatto assunto un’importanza strategica nei sistemi sanitari dei diversi paesi, consentendo di monitorarne costantemente l’andamento epidemiologico, valutare ed eventualmente riprogrammare i servizi di prevenzione e controllo, come anche di attuare interventi terapeutici ed educativi adeguati.
È l’infermiere a svolgere un ruolo cruciale in un simile contesto, studiando l’epidemiologia delle malattie, l’eventuale protocollo di ricerca – laddove la sorveglianza sia inserita all’interno di uno studio – e fungendo da raccordo tra tutti i professionisti che a vario titolo intervengono in questo importante processo.
Dal primo link con il personale di laboratorio, fondamentale per attivare l’intero percorso, all’accurata analisi della documentazione clinica, fino alle interviste con i pazienti, o in caso di neonati e bambini con le famiglie. È sempre l’infermiere, infatti, a compilare con tutte le informazioni che reperisce la documentazione necessaria e a raccogliere per gli studi di ricerca, il consenso informato dei pazienti.
Conoscere la storia clinica legata all’episodio di malattia – caratteristiche e insorgenza dei sintomi, fonti e meccanismi di contagio – per come è stata vissuta dai diretti interessati, la situazione vaccinale e in generale le convinzioni che l’intero nucleo familiare ha a riguardo, permette infatti di individuare eventuali dubbi e incertezze e svolgere di conseguenza, l’importante compito di educazione alla salute.
L’infermiere, che più di altri professionisti è vicino al paziente e alla sua famiglia, si trova nella posizione migliore per promuovere cambiamenti comportamentali che consentano loro di proteggere la propria salute.
Il confronto tra professionisti
Un ulteriore tassello del sistema di sorveglianza è costituito dal confronto con i medici e gli infermieri che hanno in cura il paziente, fondamentale per conoscere e valutare insieme la storia clinica, le eventuali complicanze sopraggiunte durante il ricovero, gli esami diagnostici e le terapie effettuate e, in alcuni casi, discutere della necessità di ulteriori raccomandazioni – ad esempio la profilassi antibiotica raccomandata in caso di pertosse a chi è a stretto contatto con il paziente – dirette a pazienti e familiari.
Infine, una sinergia indispensabile in ogni fase del processo è quella con epidemiologi e statistici, finalizzata all’analisi e all’interpretazione dell’elevata mole di dati raccolti e che permette di giungere alla condivisione dei risultati grazie alla redazione di report, articoli scientifici e altri documenti.
Trovare delle migliori strategie per salvaguardare la salute della popolazione rimane sempre l’obiettivo ultimo di ogni sistema di sorveglianza.
Fonte: Nurse24.it