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Anche in Belgio sono pochi, stressati e demotivati

Notizie dal Belgio, per una lettura dei problemi professionali nostrani.

Anche dal Belgio arrivano notizie di un’infermieristica che trova ancora difficoltà sia nei percorsi di professionalizzazione e maturazione, sia nei riconoscimenti sociali, sindacali (e salariali) necessari ad attrarre risorse umane per un cambiamento generazionale sempre più impellente. Per la serie: (quasi) tutto il mondo è paese.

Nel numero del 16 marzo scorso di Sudpresse, quotidiano di informazioni del Belgio, viene posta l’attenzione sulla montante penuria di infermieri nel paese, come lasciano presagire i dati diffusi dalla AEDES (Agence Européenne pour le Développement et la Santé).

Una grave carenza insomma che potrebbe essere correlata a due fattori. Il primo relativo all’aumento del tempo di formazione infermieristica, che è passato da 3 a 4 anni a partire dal 2016 (per un totale di 4.600 ore). Un passaggio che ha prodotto sia un allungamento dei tempi di sostituzione del personale in servizio e il crescere della possibilità concreta del verificarsi di una mancanza di infermieri, sia una drastica riduzione delle iscrizioni.

Nei corsi della Vallonia si è avuto un 50% in meno di iscritti e in quelli della Regione di Bruxelles un 30%. La risposta del Ministero della sanità sarebbe orientata verso un ulteriore potenziamento della formazione degli aide soignante (i nostri Oss) che alla fase attuale possono solo rilevare la frequenza cardiaca e somministrare la terapia orale.

Secondo il Ministero si potrebbe attribuire loro ulteriori funzioni sia nella rilevazione della pressione arteriosa sia nell’esecuzione della terapia intramuscolare.

Fatto che, secondo Patrick Mullers, esperto dell’assistenza infermieristica per l’AEDES, rischia di provocare un livellamento verso il basso dell’assistenza. Mullers sottolinea inoltre come l’aumento di competenze ed ambiti di intervento per gli infermieri si vadano a sommare ad un quadro globale professionale già sotto pressione per gli attuali carichi di lavoro e lo stesso stress lavorativo.

A Patrick Mullers si associa anche Philippe Devos (Presidente del Consiglio Medico del CHC di Liegi) che sottolinea come il lavoro di infermiere sia un lavoro che manchi di attrattiva e non incontri certo il favore delle giovani generazioni.

Devos non crede che si potrà parlare di un rischio di scomparsa della professione, vero è però, a suo dire, che i profondi cambiamenti nel campo dell’assistenza e dell’organizzazione sanitaria in corso, richiedono grandi capacità di adattamento nella fase attuale. In un quadro del resto dove la professione infermieristica comunque deve sopportare turni di lavoro gravoso, in cambio di stipendi non propriamente alti. L’intervento di Devos si chiude in una dichiarazione di fiducia nei confronti della riforma ospedaliera in atto e delle risorse in termine di passione individuale di cui gli infermieri sono portatori.

Anche se non mancano esperienze positive di infermieri italiani che lavorano in Belgio, la notizia mostra un quadro professionale di sofferenza anche in un paese del Nord Europa, che sembra avere molto in comune con le tante questioni presenti in Italia.

La riforma del welfare è un dato di fatto che sta investendo molti paesi occidentali, mettendone a rischio l’universalismo storico, l’equità delle cure e dell’assistenza e l’accesso alle prestazioni.

In questo il passaggio del quotidiano belga ha la capacità di rappresentare un’ulteriore testimonianza, di un’infermieristica che oggi trova ancora difficoltà sia nei percorsi di professionalizzazione e maturazione, sia nei riconoscimenti sociali, sindacali (e salariali) necessari ad attrarre risorse umane per un cambiamento generazionale sempre più impellente.

 

Fonte: Nurse24.it