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Che cosa sta succedendo al piccolo Alfie Evans

Il bimbo affetto da una gravissima malattia neurodegenerativa sopravvive da mesi grazie a un macchinario per il supporto vitale.

Una vicenda al centro di una battaglia tra i genitori e la giustizia inglese, che ha dichiarato inumano continuare a mantenere in vita il bambino artificialmente. E ora entra in scena anche l’Italia.

Alfie Evans ha 23 mesi, e da quando ne aveva non più di 7 vive nel reparto di terapia intensiva neonatale dell’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool. Gli ultimi 17 mesi dunque li ha trascorsi attaccato a un respiratore artificiale, perché è affetto da un disturbo neurodegenerativo che sta distruggendo lentamente il suo cervello. Una diagnosi certa per ora non c’è ancora, ma c’è chi ipotizza che si tratti di una rara malattia mitocondriale, come quella di cui soffriva il piccolo Charlie Gard. La cui vicenda d’altronde ha diversi punti in comune con quella di Alfie Evans: una malattia rarissima che non lascia scampo, una famiglia disposta a lottare fino alla fine in difesa del proprio bambino, solidarietà e mobilitazioni internazionali. E non ultimo, lo zampino dell’Italia. Che in questa occasione ha deciso di concedere a sorpresa la cittadinanza al piccolo malato, in un tentativo disperato di forzare la mano alle autorità inglesi e spingerle a concedere il trasferimento del piccolo nelle strutture del Bambino Gesù di Roma. In attesa di conoscere la decisione delle autorità britanniche, ripercorriamo le principali tappe di questa vicenda straziante, e non ancora conclusa. Che desta non pochi interrogativi sul comportamento delle nostre istituzioni, forse troppo sensibili alle sollecitazioni giunte dal Vaticano.

La storia di Alfie

Per come la si può ricostruire dai tabloid inglesi, la vicenda del piccolo Alfie inizia il 9 maggio 2016, quando il bambino nasce nelle strutture del Liverpool Women’s Hospital, apparentemente in perfetta salute.

Nei mesi seguenti però il piccolo inizia a mostrare alcuni segni di disagio, salta alcuni dei cosiddetti traguardi di sviluppo e inizia poi a mostrare strani sintomi, movimenti scoordinati simili a convulsioni, che spingono i genitori (una coppia di 20enni inglesi) a chiedere il parere di un medico. Ricevendo – raccontano i genitori – rassicurazioni, e una diagnosi di semplice “sviluppo lento”. Di li a poco però, per la famiglia Evans ha inizio il calvario: a dicembre del 2016 il bambino sviluppa un’infezione delle vie respiratorie, inizia a presentare forti convulsioni, e col sopraggiungere di problemi respiratori viene attaccato a una macchina nell’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool. E purtroppo, a dispetto delle speranze di medici e genitori Alfie non lascerà più quella stanza di ospedale. Dopo aver superato la crisi iniziale, ed essere tornato a respirare autonomamente, il piccolo contrae infatti una seconda infezione. Tornano le convulsioni, sempre più frequenti, e viene nuovamente attaccato alle macchine. E questa volta è chiaro che soffre di un disturbo ben più grave di una semplice influenza.

I danni neurologici

Una diagnosi precisa della malattia di Alfie per ora non c’è. Si tratta di una patologia neurodegenerativa molto rara (tanto da sfuggire per ora alle indagini dei medici) e a prognosi infausta, probabilmente simile – hanno ipotizzato diversi esperti intervistati dai giornali inglesi – alla malattia mitocondriale di cui soffriva il piccolo Charlie Gard. Quel che è certo, almeno secondo i medici inglesi che hanno potuto visitare il bambino, è che dopo quasi due anni trascorsi attaccato a una macchina il suo cervello presenta ormai una situazione molto, molto grave. L’ultima perizia richiesta dall’Alta corte di giustizia inglese parla infatti di danni diffusi, e in particolare di una ampia perdita della sostanza bianca (fasci di assoni mielinizzati che trasportano i segnali tra diverse regioni del sistema nervoso centrale) ridotta ormai a meno del 30% di quella presente in un cervello sano. A detta dei medici e dei periti, il bambino è in uno stato semi-vegetativo: è ormai incapace di sopravvivere separato dalle macchine, e non potrà mai recuperare anche solo parzialmente le normali funzioni cerebrali. Ed è quindi nel migliore interesse del piccolo paziente – scrivono gli specialisti inglesi – spegnere le macchine, e lasciare che la natura faccia il suo corso.

La giustizia inglese

Per la giustizia inglese, un paziente può essere staccato dagli apparecchi di supporto vitale (ventilazione e alimentazione assistita) se ha trascorso in coma un lungo periodo di tempo (solitamente 12 mesi) e i medici ritengono che le sue condizioni siano ormai irreversibili. Per i bambini la decisione dovrebbe spettare a chi ne esercita la patria potestà (i genitori in questo caso), ma se non si raggiunge un accordo tra medici e famigliari un giudice può imporre il distacco dalle apparecchiature. Ed è esattamente quanto successo al piccolo Alfie: nonostante diversi ricorsi presentati dai genitori a tutti i livelli della giustizia inglese, i giudici hanno ordinato di staccare la ventilazione che lo tiene in vita. E la vicenda si è trasformata così in una corsa contro il tempo, per convincere le autorità a un cambio di rotta prima che la vita del piccolo si spenga.

Il tribunale europeo

La speranza della coppia risiedeva inizialmente nella Corte europea dei diritti umani, che ieri però ha rigettato il ricorso presentato d’urgenza dai genitori di Alfie. È così iniziata la procedura di distacco, e nella notte del 23 aprile, alle ore 22.30 di Liverpool, Alfie Evans è stato privato prima della ventilazione e poi anche di alimentazione e idratazione artificiali. Nella mattina del 24 aprile, però, il bambino ha stupito i medici sopravvivendo per 10 ore senza ausili tecnologici, ed è stato temporaneamente riattaccato al supporto vitale. Nel frattempo, le cose hanno iniziato a muoversi per altre vie. La scorsa settimana il padre di Alfie, Thomas Evans, era volato a incontrare il papa, che al termine dell’incontro ha lanciato un appello per salvare il bambino. Dichiarazioni ripetute anche nei giorni seguenti, che hanno portato il Bambino Gesù di Roma a offrire la propria consulenza, e poi a candidarsi per assistere il piccolo nelle sue strutture. E mentre dal Regno Unito arrivavano educati dinieghi, in Italia si preparava il colpo di scena: sensibili ai richiami del papa, i ministri Angelino Alfano e Marco Minniti hanno deciso di concedere al piccolo la cittadinanza italiana, per forzare la mano alle autorità britanniche e cercare di far trasferire il bambino nell’ospedale romano.

Cosa possiamo offrire al piccolo Alfie?

La storia per ora termina qui. E bisognerà attendere ancora qualche giorno per sapere se le autorità inglesi decideranno di affidare il bambino alle cure della sua nuova patria (anche se le ultime notizie parlano di un aereo o di un elicottero già pronti per il trasporto). Di fronte a una simile tragedia è certo il caso di evitare commenti sulle azioni e le decisioni dei protagonisti di questo dramma familiare. È impossibile però esimersi dal sollevare alcune domande sull’atteggiamento delle nostre istituzioni. Cosa possiamo offrire al piccolo in Italia – ad esempio – che non sia disponibile negli ospedali di una delle nazioni più avanzate al mondo? Nel caso di Charlie Gard, la speranza risiedeva in un farmaco sperimentale, potenzialmente in grado di rallentare la progressione della malattia (ma non di risanare i gravissimi danni neurologici già avvenuti). Ma quali trattamenti potrà ricevere Alfie nei reparti del Bambino Gesù? Contattati da Wired, i medici dell’ospedale romano hanno dichiarato di concordare con la diagnosi dei colleghi del dell’Alder Hey Hospital (probabilmente una forma grave di encefalopatia epilettogena), e che il piano di cura in Italia prevede semplicemente “il proseguimento dell’iter diagnostico e il mantenimento della ventilazione, alimentazione e idratazione“. Purtroppo, quindi, è facile immaginare che in questo caso farmaci miracolosi non ce ne saranno, e che a Roma il piccolo troverà solo qualche altro mese di vita, collegato a un respiratore.

Chi pagherebbe nel caso? Per il trasporto, l’ospedale ha assicurato da tempo che si prenderebbe carico delle spese. Ma una volta in Italia, le spese mediche per un piccolo cittadino italiano non potrebbero che essere a carico del nostro servizio sanitario nazionale. Può sembrare cinico mettersi a fare di conto in una situazione del genere. Ma è difficile non pensare che purtroppo di bambini che soffrono nel mondo non ne mancano di certo. E che, forse, due ministri dimissionari dovrebbero esercitare un po’ più di cautela quando si tratta di interferire con le procedure di un’altra nazione, e di scegliere chi aiutare (e chi no) con i soldi dei contribuenti. Per finire, poi, c’è la questione della nazionalità: la nota pubblicata ieri dalla Farnesina parla di una cittadinanza concessa dai Ministri dell’interno e degli esteri, ma come chiarisce un articolo de La Repubblica anche le procedure accelerate richiedono dei tempi tecnici e un decreto del Presidente della Repubblica, e quindi è difficile immaginare che il bambino sia già di nazionalità italiana. E inoltre: il Papa non avrebbe potuto concedere al piccolo il passaporto Vaticano per chiederne il trasferimento in una delle tante strutture ospedaliere gestite dalla chiesa? Quali che siano le risposte, non resta che aspettare per conoscere l’epilogo di questa triste vicenda. Augurandosi che, qualunque sia l’esito, le sofferenze del piccolo Alfie durino il meno possibile.


Fonte: Wired.it