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I farmaci contro l’artrite reumatoide per trattare i casi gravi di COVID-19

Hanno dato risultati incoraggianti su un numero ristretto di pazienti con polmoniti gravi, ora potranno essere sperimentati negli ospedali italiani.

In alcuni ospedali italiani sarà possibile sperimentare un farmaco per l’artrite reumatoide che ha dato risultati incoraggianti per trattare i pazienti con gravi polmoniti causate dal coronavirus. Il tocilizumab è stato sviluppato dall’azienda farmaceutica Roche, che ha dato la propria disponibilità a fornire gratuitamente il farmaco agli ospedali che ne faranno richiesta per impiegarlo contro il coronavirus, al posto del suo classico impiego per contrastare l’artrite reumatoide. Anche un altro medicinale simile, il Kevzara, sarà sperimentato in studi clinici negli Stati Uniti.

La COVID-19, la malattia causata dal coronavirus (SARS-CoV-2), causa in circa l’80 per cento dei casi sintomi lievi come febbre e tosse secca, ma nei restanti può portare a polmoniti che richiedono il ricovero in ospedale e, nei casi più gravi, l’intubazione in terapia intensiva. Non esiste una cura contro il coronavirus, quindi i farmaci somministrati ai pazienti più gravi servono per lo più per ridurre l’infiammazione e i sintomi in attesa che il sistema immunitario superi l’infezione virale. Diverse ricerche cliniche, quindi basate sui risultati ottenuti nel trattamento dei pazienti, hanno comunque indicato benefici per i pazienti trattati con farmaci antivirali, che contrastano la replicazione del coronavirus nell’organismo.

Il tocilizumab e il Kevzara non sono farmaci antivirali: sono stati approvati qualche anno fa per trattare l’artrite reumatoide, una malattia cronica che causa infiammazioni e deformazioni alle articolazioni a causa della scorretta attività del sistema immunitario. È una malattia che può diventare invalidante e che si stima interessi l’1 per cento della popolazione mondiale.

I farmaci di nuova generazione contro l’artrite reumatoide sono basati sugli anticorpi monoclonali (MAb), ottenuti in laboratorio sfruttando le caratteristiche del sistema immunitario degli organismi. Il tocilizumab, per esempio, è stato progettato per interagire con l’interluchina 6 (IL-6), una proteina coinvolta nei processi infiammatori e che di solito si presenta con livelli elevati nelle persone che soffrono di artrite reumatoide: legandosi alla IL-6, il farmaco impedisce alla proteina di innescare il processo infiammatorio riducendo gli effetti della malattia. Anche i pazienti con metastasi dovute ai tumori hanno livelli di IL-6 più alti del normale nel loro sangue, e l’impiego di questi nuovi farmaci si è rivelato promettente per nuove terapie contro il cancro.

In generale quando il sistema immunitario è alle prese con un patogeno da sconfiggere (come un virus), alcune molecole proteiche specializzate (citochine) mettono in allarme le cellule immunitarie richiedendo il loro intervento nel punto in cui si sta verificando l’infezione. Le citochine hanno inoltre il compito di stimolare queste cellule, inducendole a produrre nuove citochine per continuare a segnalare il pericolo e ottenere nuovi aiuti. Il meccanismo viene regolato dall’organismo, ma in alcune circostanze può finire fuori controllo con la conseguente attivazione di troppe cellule immunitarie in un solo punto del corpo. In questo caso si verifica una “tempesta di citochine” che può rivelarsi fatale. Succede per esempio se si verifica nei polmoni comportando un accumulo di fluidi che blocca le vie respiratorie, una condizione ricorrente tra i pazienti gravi con COVID-19.

Considerata la funzione del tocilizumab, ricercatori e medici si sono chiesti se i pazienti potessero trarre beneficio dal farmaco anche nei casi più gravi di COVID-19, evitando che la risposta infiammatoria finisca fuori controllo. Uno studio realizzato in Cina ha riguardato una ventina di pazienti con sintomi gravi da coronavirus e trattati con tocilizumab, che hanno mostrato segni di miglioramento a meno di due giorni dalla somministrazione del farmaco. Poiché agisce su meccanismi diversi, il medicinale può essere inoltre somministrato senza che interferisca con gli antivirali, che hanno invece il compito di tenere sotto controllo la replicazione del virus.

A inizio marzo, le autorità sanitarie della Cina hanno incluso il tocilizumab nelle linee guida per il trattamento clinico della COVID-19, nei pazienti con polmoniti gravi. L’approvazione non solo ha reso possibile l’impiego del farmaco per scopi diversi dal trattamento dell’artrite reumatoide, ma ha anche portato altri paesi a valutare il suo utilizzo sui pazienti.

Nelle ultime settimane il farmaco è stato sperimentato in Italia a Napoli, nell’ambito di una collaborazione tra l’Azienda Ospedaliera dei Colli e l’Istituto nazionale dei tumori “Fondazione Pascale”. Un primo test clinico ha interessato due pazienti con polmonite severa causata dal coronavirus. I medici hanno segnalato risultati promettenti a circa 24 ore dalla somministrazione. In seguito Roche ha dato la propria disponibilità per forniture apposite del tocilizumab per trattare i pazienti con gravi polmoniti da COVID-19. Giovedì 12 marzo l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha confermato la creazione di una “Unità di crisi coronavirus”, comprendendo tra i propri obiettivi fornire assistenza e garantire l’accesso ai farmaci sperimentali contro la malattia.

Sperimentazioni di questo tipo sono eseguite con grandi cautele sia perché non sono ancora note tutte le caratteristiche del coronavirus, sia perché ogni paziente reagisce diversamente alle terapie. Riducendo l’attività del sistema immunitario c’è il rischio di esporre i pazienti ad altre infezioni.

Negli Stati Uniti, intanto, le aziende farmaceutiche Regeneron e Sanofi si stanno dando da fare per avviare test clinici sul Kevzara, un altro farmaco contro l’artrite reumatoide che potrebbe rivelarsi utile contro le polmoniti gravi da COVID-19. Le due aziende confidano di attivare i primi test entro un paio di settimane, in modo da avere dati più chiari entro pochi mesi.