Gerardo, l’oss spagnolo che ha rischiato il burnout.
Ha scelto di praticare il suo lavoro di notte, perché dice di non essere più in grado di sostenere i ritmi diurni di quella struttura sanitaria. Eppure Gerardo ha già 18 anni di esperienza alle spalle come auxiliar de enfermeria, l’equivalente spagnolo del nostro operatore socio sanitario. Lavora nella stessa Rsa spagnola, da ben 10 anni, dove tutti i giorni 64 ospiti mangiano, dormono e svolgono le attività programmate.
Spesso mi chiedono perché ho scelto di lavorare la sera e io rispondo che per me è più semplice, perché non ho servizi igienici da fare, pasti da dispensare e ho quindi più tempo per parlare con i residenti
, dice con voce emozionata, mentre si gode i suoi ultimi giorni di vacanza in Italia.
Visto che ho tutta la notte davanti, inizio sempre il turno con un giro letti, insieme all’infermiere e dopo che lui ha dato la terapia, ripasso nelle stanze per vedere se è tutto ok. Dedico molto tempo a questa attività perché so che gli anziani hanno molta voglia di parlare e durante il giorno i miei colleghi non hanno mai tempo di farlo
precisa Gerardo.
Quello che scopro parlando con loro è che hanno una bruttissima opinione di noi oss e infermieri, perché non ci preoccupiamo mai di chiedergli come stanno – aggiunge -. Molti anziani per esempio soffrono di solitudine, che è un paradosso se pensiamo che vivono in compagnia tutto il giorno. Si sentono abbandonati da noi, ma soprattutto dalle loro famiglie che li hanno rinchiusi lì. Ricordo che una volta un residente mi disse di voler morire e io non avevo avuto neppure il tempo di consolarlo
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Gerardo, che prima faceva i turni come gli altri suoi colleghi, sa che durante il giorno è una corsa contro il tempo, dove l’operatore più bravo è quello che riesce a buttare più pazienti giù dal letto nel minor tempo possibile
, cita le testuali parole dei suoi capi.
Quando anch’io ero di turno, soprattutto nei week end dovevo eseguire quelle che venivano chiamate “istruzioni speciali”: lavare cioè solo le parti intime e le mani per risparmiare tempo – dice -. E se qualcuno si scaricava veniva pulito con le salviette, senza utilizzare neanche un po’ d’acqua o sapone. Anche se non ero d’accordo, dovevo eseguire gli ordini perché sabato e domenica noi oss eravamo molti meno e non c’era tempo per le polemiche. Soltanto gli ospiti che aspettavano i parenti meritavano delle attenzioni maggiori. Ad esempio, se il signor X aspettava una visita dalla moglie, dovevo raderlo, cambiargli gli abiti e le lenzuola del letto. Se la signora Y aspettava i figli, allora magari si trovava il tempo di farle anche lo shampoo. E cose simili. Durante la settimana, invece, quando cambiavamo gli ospiti, dovevamo farlo in fretta e spesso li maltrattavamo senza rendercene conto, con gesti bruschi e senza dire una parola di conforto
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Questo è il motivo per cui ho chiesto alla direzione di passare al turno notturno e visto che avevo rischiato il burnout, me l’hanno concesso
spiega l’oss, sottolineando che se avesse potuto fare a meno di quei soldi avrebbe lasciato del tutto la struttura.
Gerardo che è italiano di nascita, ma residente all’estero da più di 25 anni, è cresciuto in casa insieme a una nonna malata di cui doveva occuparsi il più delle volte da solo. La sensibilità che ha sviluppato l’ha portato ad essere molto critico verso gli atteggiamenti scorretti nei confronti dei più deboli. E per questo, è arrivato a un punto in cui si sentiva in colpa per quelle attenzioni mancate che non offriva ai suoi anziani.
Ho visto il mio ambiente di lavoro deteriorarsi con il passare degli anni. Tutto il personale è sull’orlo del burnout, ma solo in pochi abbiamo avuto il coraggio di auto-denunciarci – dice -. Passare al turno notturno mi ha dato la possibilità di curare di più l’aspetto umano, ma so che dovrei fare ancora di più per sentirmi di nuovo un bravo oss. Purtroppo anche di notte, abbiamo tante cose da fare, perdiamo troppo tempo per recuperare ciò che non è stato fatto durante il giorno e alla fine non riusciamo comunque a curare le persone come vorremmo. È un massacro psicologico
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Fonte: Nurse24.it