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Psicologia dell’ambiente, gli esperti: «Autostima e ottimismo dipendono dall’ufficio»

Uno spazio di lavoro malsano può rappresentare un agente patogeno a 360° e ripercuotersi sulla sfera cognitiva, affettiva e comportamentale.


Lo sostengono Marino Bonaiuto, direttore del Centro Inter-universitario di Ricerca in Psicologia Ambientale, e Diego Bellini, docente presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cagliari.


Postazioni confortevoli inserite in spazi ben illuminati e studiati per agevolare il rendimento professionale. Secondo la psicologia ambientale, l’ufficio in cui lavoriamo influenza notevolmente le nostre performance lavorative; muoversi in uno spazio accogliente e dotato di comfort aumenta la produttività e migliora le relazioni sociali. Su questo tema Sanità Informazione ha interpellato Marino Bonaiuto, direttore del Centro Inter-universitario di Ricerca in Psicologia Ambientale, e Diego Bellini, docente presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cagliari e coordinatore di un progetto sulla prevenzione degli incidenti e delle malattie professionali. I due professori, in un’intervista corale, spiegano approfonditamente il rapporto tra ambiente, psicologia e approcci relazionali chiarendo quali caratteristiche deve avere un ambiente lavorativo per avere ripercussioni efficaci sulla produttività.


Lo spazio lavorativo può influire sulla psicologia del lavoratore e sulla sua produttività?

«Sì, una mole ormai vasta di ricerche empiriche, guidate da diverse teorie e modelli e svolte in vari contesti, dimostra come tutti gli ambienti e i luoghi, ivi compresi quelli deputati alle attività lavorative di ogni ordine e grado (siano esse svolte entro uffici, fabbriche o altro), possano influire sul lavoratore a vari livelli psicologici: cognitivo, affettivo, comportamentale. Sul piano cognitivo l’ambiente di lavoro può ad esempio facilitare od ostacolare la percezione, l’attenzione, la concentrazione. Sul piano affettivo gli effetti del luogo di lavoro possono ripercuotersi ad esempio sulla gestione dello stress o sul controllo di sé. Sul piano comportamentale gli effetti dell’ambiente lavorativo possono riscontrarsi a carico sia di vari aspetti quantitativi e qualitativi della prestazione; sia di parametri quantitativi e qualitativi delle relazioni sociali con capi, colleghi, collaboratori; sia di dimensioni inerenti benessere e salute personali. Per comprendere in che modo lo spazio lavorativo influisca sulla psicologia del lavoratore e sulla sua produttività, occorre considerare come il luogo di lavoro sia un sistema complesso caratterizzato da una continua interazione tra i fattori sociali e ambientali che influenzano la percezione dell’esperienza lavorativa».

Quali sono le caratteristiche indispensabili che dovrebbe avere un ambiente lavorativo per garantire il benessere di chi lavora?

«Gli effetti sulla persona conseguenti all’ambiente lavorativo talvolta sono molto generali e uniformi indipendentemente dalle differenze individuali e dalle specificità situazionali e contestuali; altre volte invece tali effetti possono essere condizionati dalle peculiari caratteristiche della singola persona e/o di un dato contesto e situazione, come pure dalla specifica natura del compito da svolgere. Ciò comporta che in taluni casi sia possibile derivare delle indicazioni in qualche modo universali, mentre in altri casi sarebbe opportuno adottare soluzioni molto specifiche e personalizzate. Un esempio di effetto positivo molto generale che si riscontra a dispetto delle differenze personali, culturali, situazionali, è quello degli elementi naturali. Tipicamente sono stati studiati elementi “verdi”, cioè vegetazione (piante, alberi, ecc.), ma più recentemente anche elementi “blu”, cioè la presenza di acqua (fluviale, lacustre, marittima). Anche nei luoghi lavorativi (come pure negli altri luoghi), la presenza di elementi e aree naturali produce effetti positivi di vario tipo. Innumerevoli ricerche – impiegando un’ampia gamma di parametri – hanno dimostrato come siano proprio gli elementi e le aree naturali (invece che edificate), anche se solo fruite visivamente, a consentire un migliore ripristino della concentrazione. Questi elementi devono essere associati a pause, utili a consentire il ripristino di funzioni cognitive».

Rispetto al passato oggi gli ambienti di lavoro sono maggiormente condivisi (tanto che è nato il termine co-working). Questo ha determinato problematiche psico-sociali nuove e diverse dal passato?

«Condividere l’ambiente di lavoro riduce l’alienazione dovuta al lavorare “da soli”. Gli ambienti condivisi prevedono la presenza di spazi di collaborazione e ricreazione dedicati, che favoriscono la rigenerazione delle risorse cognitive. Le reti sociali che questi luoghi sono in grado di creare sono un aspetto indubbiamente positivo, così come l’assenza di gerarchia, le minori opportunità di conflitti, la possibilità di avere le attrezzature necessarie per lavorare e la sicurezza che funzionino correttamente. Tuttavia, altri fattori – individuali, sociali e organizzativi, come la capacità di organizzare il proprio lavoro, la presenza di più persone, il rumore, l’impossibilità di personalizzare il proprio ambiente di lavoro – riducono la concentrazione, la soddisfazione e la produttività. La domanda che ci poniamo come ricercatori è: all’interno di un approccio sistemico – che considera l’interazione dei fattori sociali, ambientali e anche organizzativi che influenzano la prestazione – saranno tali fattori positivi in grado di ridurre l’effetto di quelli negativi? Le ricerche ci danno alcune indicazioni utili: ad esempio, alcuni fattori percepiti come negativi – come il rumore o una illuminazione non adeguata – possono essere percepiti diversamente, anche positivamente, se sono presenti altri fattori nell’ambiente di lavoro in grado di modificare la valutazione soggettiva del lavoratore. Per esempio il rumore prodotto dalla stampante in ufficio può essere valutato più positivamente se utilizzata da noi rispetto a quando è utilizzata dai colleghi. Inoltre, in ambienti condivisi le persone hanno minori opportunità di regolare il grado di luminosità della propria postazione, o la temperatura, e non possono scegliere il posto da occupare per lavorare. Sappiamo che la luce naturale, se adeguatamente presente, e la temperatura, se adeguata alle esigenze della persona, sono in grado di generare uno stato positivo nei lavoratori e favorire una migliore prestazione».

Quali sono le patologie (psicologiche e fisiche) che possono essere dipendenti da uno spazio di lavoro malsano?

«Beh, lo spazio di lavoro malsano – come la storia della medicina e la storia delle scienze comportamentali insegnano –  può rappresentare un agente patogeno a 360°.  Si parla di “malattie correlate agli edifici”, anche nei luoghi di lavoro. Tra queste malattie, la “sindrome dell’edificio malato” si manifesta attraverso diversi sintomi, ad esempio mal di testa, affaticamento, irritazione del naso, degli occhi e delle mani fino provocare la nausea. Numerose evidenze scientifiche e rassegne della letteratura confermano gli effetti negativi che una ambiente malsano può avere sulla pressione sanguigna, sui livelli ormonali, sulla prestazione motoria, sull’attività cerebrale, sulla memoria e sulle ore di sonno. Oltre alle caratteristiche dell’ambiente lavorativo, le patologie sono legate al lavoro in sé. Ci sono ovviamente esempi classici di lavori usuranti o che espongono a fattori direttamente patogeni, ma anche molti altri fattori possono avere effetti su salute e benessere. Anche solo rimanendo entro la contemporaneità del lavoro d’ufficio moderno, si pensi per esempio alla qualità di parametri meramente fisici (aria, temperatura, rumore), o di quelli socio-culturali come il mobilio ergonomico o disfunzionale, sino a quelli relazionali implicati da rapporti sociali conflittuali o positivi. La nostra cultura ha fatto certamente passi avanti nel riconoscere gli effetti che lo spazio lavorativo ha sulla salute umana, manca però una visione più allargata che comprenda come il luogo di lavoro abbia effetti potentissimi anche a livello psicologico. Il luogo di lavoro, inoltre, rappresenta un’esperienza cronica per la persona, perché viene vissuto per molte ore al giorno e spesso per un arco temporale dell’ordine di diversi decenni. Ciò significa che effetti che risultano piccoli e trascurabili se presi nell’arco di pochi minuti o di una giornata, si cumulano poi nell’arco degli anni. Queste prospettive temporali, sul versante psicologico, possono potenzialmente comportare effetti a carico dell’identità personale, dell’identità sociale e dell’identità di luogo di una persona: si tratta cioè di livelli psicologici profondi, tendenzialmente stabili, dai quali dipendono capisaldi quali l’umore, l’autostima, l’ottimismo, la resilienza di una persona».


Fonte: Sanità Informazione