Fare come la Cina ci aiuterà contro il coronavirus?

L’estensione delle restrizioni contro il coronavirus (SARS-CoV-2) a tutta Italia, annunciata lunedì sera dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, non ha precedenti nella storia del nostro paese ed è ampiamente ispirata alle strategie adottate da più di due mesi in Cina, dove l’epidemia è iniziata nella zona di Wuhan. Dopo avere registrato oltre 80mila casi positivi, da tre giorni in Cina non risultano nuovi contagi da coronavirus fuori dalla regione di Hubei in cui si trova Wuhan, dove lunedì sono stati segnalati appena 17 nuovi casi positivi.

Per ottenere questo risultato la Cina ha dovuto impegnare risorse enormi e limitare pesantemente la libertà di movimento di milioni di persone, con conseguenze pesanti e discusse per quanto riguarda la censura delle opinioni e il controllo della popolazione. Il risultato ottenuto nel contenimento del coronavirus è però evidente, e per questo viene osservato con attenzione dalle autorità sanitarie di altri paesi, compresa l’Italia.

Bruce Aylward è un medico con un’esperienza trentennale nell’affrontare crisi sanitarie legate a malattie infettive come ebola e la poliomielite. Di recente ha visitato la Cina come capo delegazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), avendo la rara opportunità di verificare l’efficacia delle misure assunte dal governo cinese e le attività svolte dalle autorità sanitarie. Ha raccontato la sua esperienza al New York Times, offrendo un punto di vista terzo e neutrale sull’epidemia da coronavirus in Cina, con spunti che aiutano a capire che cosa potrà succedere nelle prossime settimane anche da noi.

Dati e progressi
La riduzione dei nuovi casi da coronavirus segnalati dalla Cina è stata giudicata sospetta da alcuni osservatori, considerata la scarsa trasparenza del governo cinese e alcuni precedenti di scarsa collaborazione con le autorità sanitarie internazionali. Aylward ha spiegato di avere visitato diversi laboratori e cliniche, ricevendo informazioni incoraggianti dagli operatori locali sul fatto che la situazione fosse ormai “diversa da tre settimane fa”. Al momento del massimo dell’epidemia c’erano in media 46mila persone che necessitavano di un test per il coronavirus; ora sono all’incirca 13mila e ci sono ospedali con posti letto disponibili.

Aylward ha confermato di non avere notato nulla di strano e che potesse far pensare a una manipolazione dei dati. La dinamica appare piuttosto chiara: un’epidemia che ha raggiunto velocemente il suo picco e che poi è diminuita più veloce di quanto ci si attendesse. Nel mezzo, milioni di persone non sono stati coinvolti proprio in virtù dell’approccio molto aggressivo e drastico da parte delle autorità cinesi.

Isolare e prevenire
Per quanto riguarda i contagi, i dati della Cina suggeriscono che nel 75-80 per cento i contagi interessano nuclei familiari: «Trovi casi di contagio isolati negli ospedali, nei ristoranti e nelle prigioni, ma la grande maggioranza deriva dalle famiglie», ha spiegato Aylward. In Cina provvedono quindi a isolare i membri delle famiglie infetti il prima possibile, in modo da ridurre i rischi di nuovi contagi, e poi vanno alla ricerca di tutti i potenziali contagiati da quella persona nei due giorni precedenti.

L’approccio cinese non è stato semplicemente “bloccare tutto per settimane”, ma ha previsto diversi livelli di prevenzione. È stata comunicata insistentemente alla popolazione la necessità di lavarsi spesso le mani e di evitare i contatti sociali; sono stati spiegati inoltre i sintomi della COVID-19, la malattia causata dal coronavirus.

Poi si è passati a una fase molto articolata di identificazione dei singoli casi sospetti, per esempio attraverso la misurazione della febbre nei luoghi pubblici, e anche sulle autostrade e strade principali. All’identificazione di ogni caso e di possibili contagi, le autorità hanno provveduto a chiudere scuole, teatri e ristoranti. La chiusura totale ha riguardato solamente Wuhan e un certo numero di città circostanti, determinando comunque l’isolamento di decine di milioni di persone (l’area di Hubei è densamente popolata).

Diagnosi e assistenza medica
Quando sono diventate chiare le dimensioni dell’emergenza sanitaria, il governo cinese si è dato da fare per semplificare la gestione dell’assistenza medica. In poche settimane circa la metà dei consulti medici è stata eseguita tramite Internet, in modo che le persone potenzialmente malate non dovessero raggiungere gli ospedali e gli ambulatori, causando ulteriori contagi. Per le persone con necessità particolari, come insulina per trattare il diabete o farmaci per patologie cardiache, è stato approntato un sistema per ottenere le ricette online e farsi consegnare a casa i farmaci.

Le persone sospettate di essere contagiate venivano portate in ambulatori appositi, dove il personale sanitario rilevava la febbre, verificava la gravità degli altri sintomi e i precedenti sanitari. Ai casi sospetti veniva poi chiesto di spiegare nel dettaglio gli spostamenti svolti nelle settimane precedenti e di elencare i contatti avuti con altre persone. Per completare la diagnosi, ogni paziente veniva poi sottoposto a una TAC (tomografia assiale computerizzata) ai polmoni, per verificare il loro stato.

A differenza della comune influenza, la COVID-19 può causare infezioni serie nelle parti più profonde delle vie respiratorie, che portano poi a polmoniti atipiche difficili da trattare (nei casi più gravi). A differenza di una normale radiografia, la TAC consente di avere un quadro clinico più completo, analizzando nel dettaglio le strutture dei polmoni ed eventuali problemi causati dal coronavirus. Nelle cliniche per le diagnosi cinesi ogni macchina per la TAC arrivava ad analizzare fino a 200 pazienti in un giorno, un ritmo molto alto se si considera che normalmente in un ospedale si fanno dalle 2 alle 5 TAC all’ora in periodi di forte richiesta.

Al termine di questa valutazione, se il caso rimaneva sospetto, si procedeva con un tampone per verificare la presenza del coronavirus. Nelle prime settimane erano necessari giorni per avere un risultato, perché c’erano pochi laboratori a occuparsene, le cose sono poi migliorate al punto da richiedere in media 4 ore dal momento del tampone a quello del risultato.

Nelle cliniche per le diagnosi si è comunque assistito a un grande affollamento, perché molte persone arrivavano con sintomi che ritenevano essere legati alla COVID-19. Molte di loro venivano rispedite a casa dopo una valutazione perché avevano banalmente l’influenza stagionale e non la malattia causata dal coronavirus: è per esempio raro che la COVID-19 causi naso che cola e congestione delle vie aeree superiori.

Come abbiamo appreso dalle cronache nei mesi di gennaio e febbraio, naturalmente in Cina non è andato sempre tutto liscio dal punto di vista della valutazione dei casi sospetti. In pochi giorni, per esempio, le autorità sanitarie hanno cambiato almeno due volte il modo in cui svolgevano le diagnosi e quindi la comunicazione degli effettivi nuovi casi positivi al coronavirus. Il sistema di rilevazione si è poi stabilizzato e non ha comunque mai ricevuto critiche da parte dell’OMS, che con il suo personale ha vigilato (fin dove possibile) sulle attività del governo cinese.

Le persone con sospetta COVID-19 e in attesa dell’esito del test non venivano comunque rispedite a casa, ma venivano isolate altrove proprio per evitare ulteriori contagi nelle loro famiglie. All’inizio, quando c’erano difficoltà con i test, questo comportava che migliaia di persone dovessero attendere fino a 15 giorni prima di essere ricoverate (la malattia si manifesta entro un paio di settimane dal momento in cui si è contratto il coronavirus).

Da diverse settimane, le persone con sintomi lievi da COVID-19 vengono tenute in centri di isolamento. Sono stati allestiti in posti come palazzetti dello sport e palestre, e in alcuni casi hanno fino a un migliaio di posti letto. Per le persone con sintomi seri o gravi è invece previsto il ricovero in ospedale. Si è inoltre deciso che le persone con COVID-19 e problemi di salute pregressi siano da subito ricoverate, così come quelle che hanno un’eta sopra i 65 anni.

Ospedali dedicati
Dopo le prime settimane di grande caos e forte stress per le strutture ospedaliere, soprattutto a Wuhan, le autorità cinesi hanno riorganizzato l’intero sistema. Gli ospedali migliori e con grande capacità sono stati assegnati per il trattamento esclusivo dei pazienti con sintomi seri e gravi da COVID-19, chiudendo le sale operatorie e rinviando gli interventi non urgenti. I pazienti con altri problemi di salute, e negativi alla COVID-19, sono stati trasferiti in altri ospedali e cliniche, che gestiscono traumi e altre emergenze cliniche. Questa separazione ha permesso di ridurre il rischio di nuovi contagi negli ospedali, per i pazienti ricoverati per altri problemi di salute.

Aylward ha spiegato di avere visitato ospedali che in alcuni casi appaiono migliori di quelli in Svizzera, dove ha sede l’OMS. In alcune strutture ospedaliere erano disponibili fino a 50 ventilatori (i macchinari per assistere la respirazione dei pazienti) e cinque ECMO (per la circolazione extracorporea), un numero superiore rispetto a quello che si trova generalmente in un ospedale occidentale.

Mobilitazione
Il governo cinese si è fatto carico dell’intera spesa per realizzare nuovi ospedali, creare cliniche per le diagnosi, potenziare le strutture sanitarie esistenti e ingrandire i laboratori per aumentare i test. Ha spesso l’equivalente di decine di miliardi di euro per farlo, assicurando a tutti i pazienti la copertura delle spese per essere diagnosticati e trattati. Complice la propaganda, il governo è riuscito inoltre a stimolare una grande reazione con decine di migliaia di volontari, che si sono dati da fare soprattutto a Wuhan per assistere la popolazione.

E proprio a Wuhan, dove le limitazioni erano tali da impedire alla popolazione di uscire di casa quasi sempre (erano previste eccezioni per un membro di ogni nucleo familiare ogni due giorni), Internet si è rivelata una risorsa preziosa soprattutto per la distribuzione del cibo. Quindici milioni di persone hanno ordinato periodicamente la spesa online, non sempre è andato tutto liscio, ma nel complesso nessuno è rimasto senza rifornimenti.

La chiusura delle scuole nelle aree con maggiori contagi in Cina ha contribuito a rallentare l’epidemia, considerato che diversi studi suggeriscono che i bambini siano meno interessati dalla COVID-19, ma siano comunque veicolo di contagio. Le lezioni sono proseguite online, seppure con qualche difficoltà organizzativa.

Governo totalitario e democrazie
In Cina l’assetto è sostanzialmente totalitario, con enormi poteri e ampi margini in mano al governo per decidere in che misura limitare le libertà della popolazione, compresa quella di potersi spostare ed esprimersi liberamente. Anche per questo motivo molti osservatori sostengono che le misure di contenimento, molto drastiche, attuate dal governo cinese non possano essere ripetute altrove, in paesi con governi democraticamente eletti.

Aylward ha spiegato che l’immagine trasmessa spesso dai media di un paese in cui la popolazione ha paura del governo andrebbe rimodulata:

Ho parlato con molte persone fuori dal sistema: negli alberghi, sui treni, nelle strade in giro la notte. Si sono mobilitati, come in guerra, ed è la paura del virus che li fa andare avanti. Si sono davvero visti in prima linea al fronte per proteggere il resto della Cina. E del mondo. […]
Ci dev’essere un cambiamento nel modo di pensare a una risposta rapida. Pensi di alzare le mani e arrenderti? È un azzardo morale, un giudizio del tutto discrezionale. Chiediti: puoi fare questa cosa? Puoi isolare 100 pazienti? Puoi rintracciare mille persone? Se non puoi, [il coronavirus] scoppierà attraverso la popolazione.

Tornare alla normalità
Ora che i nuovi casi positivi sono diminuiti così tanto, in Cina si inizia un lento ritorno alla normalità, tra grandi cautele e precauzioni per evitare che riprenda il contagio. Questa sorta di grande riavvio sta avvenendo in maniera coordinata tra le province: alcune manterranno ancora a lungo le scuole chiuse, altre stanno consentendo ad alcuni impianti industriali di riaprire, altre ancora di riaprire i flussi di lavoratori dalle altre zone della Cina.

La città di Chengdu nel Sichuan, per esempio, ha circa 5 milioni di lavoratori prevenienti dal resto della Cina. Queste persone potranno tornare dopo avere ricevuto un certificato medico e dovranno sottoporsi a periodici controlli, per misurare la febbre. A Pechino, le persone di ritorno dovranno sottoporsi a una quarantena di due settimane, per assicurarsi che non siano infette e possano poi contagiare i colleghi sul posto di lavoro.

E in Italia?
Su una scala differente, diverse misure assunte in Cina sono state adottate anche in Italia, soprattutto per quanto riguarda l’isolamento delle persone e la chiusura dei principali luoghi di aggregazione sociale, come stadi, cinema, centri culturali, scuole e università. Per gli esercizi commerciali l’approccio italiano è per ora più morbido: bar e ristoranti possono rimanere aperti nelle ore centrali del giorno, a patto che facciano servizio ai tavoli e si assicurino che i clienti mantengano la distanza di un metro, mentre non ci sono particolari limitazioni per i negozi nei giorni feriali.

La suddivisione delle strutture sanitarie tra ospedali esclusivamente per COVID-19 e ospedali per altre malattie appare al momento poco praticabile, considerata la disponibilità sul territorio delle strutture ospedaliere e il modo in cui sono organizzate. Negli ospedali, per quanto possibile, sono comunque state organizzate aree separate dove trattare le persone contagiate, e punti di diagnosi esterni ai pronto soccorso, per evitare contatti con gli altri pazienti.

Dall’inizio dell’epidemia, le autorità sanitarie italiane hanno raccomandato alle persone con sintomi sospetti di rimanere a casa, e contattare il loro medico curante o i servizi sanitari regionali. Questo ha permesso di ridurre i rischi di nuovi contagi in ospedale, ma ha reso difficile il tracciamento delle persone malate, che non ha raggiunto livelli finora comparabili a quelli cinesi. Il mancato isolamento dai nuclei familiari degli infetti potrebbe inoltre comportare un numero più alto dei contagi, con maggiori rischi soprattutto nelle famiglie con persone anziane.

Soprattutto in Lombardia, gli ospedali sono sotto forte stress per il cospicuo numero di persone con COVID-19 che hanno bisogno di assistenza medica. I reparti di terapia intensiva sono al colmo in diversi ospedali, e questo rende più difficile il trattamento dei pazienti gravi, che necessitano per esempio di essere intubati. Il governo ha avviato un piano per aumentare strumentazioni e macchinari di terapia intensiva, ma all’aumentare dei casi potrebbe essere comunque difficile offrire assistenza a tutti.

Una ricerca realizzata a Wuhan su 25mila casi positivi al coronavirus ha di recente messo in evidenza come le politiche di isolamento, anche piuttosto drastiche, abbiano contribuito a ridurre significativamente il numero di persone infettate in media da un soggetto già infetto. Questa riduzione è importante per fare in modo che l’epidemia rallenti e che, infine, raggiunga livelli tali da non costituire un problema per le strutture ospedaliere.

Un rallentamento implica infatti un minor numero di contagi e di conseguenza di persone con sintomi gravi, che avranno poi necessità di un ricovero e di trattamenti in terapia intensiva (un reparto per sua natura con pochi posti). Rimanere a casa, secondo lo studio, ha avuto quindi un ruolo importante nel ridurre i contagi nell’area di Wuhan, e i dati sugli ultimi giorni sembrano confermarlo ulteriormente.

Il nuovo coronavirus, spiegato bene

Tutte le cose da sapere sul virus che in Cina ha causato la morte di oltre cento persone, e che continua a diffondersi tra la popolazione.

A causa del nuovo coronavirus (2019-nCoV), in Cina sono morte oltre 100 persone e sono state ormai segnalate migliaia di casi confermati di persone che si sono ammalate a causa del virus. La situazione continua a essere difficile soprattutto a Wuhan, città della Cina centrale dove alla fine del 2019 erano partite le prime segnalazioni di pazienti con gravi polmoniti, che hanno poi portato alla scoperta del coronavirus. Il governo cinese ha disposto l’isolamento di Wuhan e di diverse altre città, misure che interessano decine di milioni di persone e con lo scopo di ridurre il rischio di nuovi contagi.

Che cos’è un coronavirus?
I coronavirus sono un particolare tipo di virus appartenente alla famiglia Coronaviridae. In generale, i virus sono entità biologiche particolari: non sono esseri viventi veri e propri, ma hanno la capacità di invadere un organismo e sfruttarne le risorse per prosperare e moltiplicarsi, come fanno i parassiti. Per farlo, si legano alle cellule degli organismi, eludono le difese delle loro membrane e si aprono un varco attraverso il quale ne modificano le caratteristiche genetiche.

I coronavirus utilizzano come materiale genetico l’RNA, cioè l’acido ribonucleico: una versione “semplificata” del DNA, che assolve al medesimo scopo di codificare e trasmettere le informazioni genetiche. Questi tipi di virus si chiamano così perché i loro virioni (la parte infettiva) appaiono al microscopio elettronico come piccoli globuli, sui quali ci sono tante piccole punte che ricordano quelle di una corona.

Coronavirus che causa la SARS (Wikimedia)

Le punte sono formate dai “peplomeri”, le strutture proteiche che insieme ad altri meccanismi servono ai virus per attaccarsi alle cellule dell’organismo da infettare. Una volta che si sono legati alle cellule ospiti, i virus rilasciano il loro codice genetico modificando il comportamento della cellula. Questo processo fa sì che si attivi una risposta immunitaria da parte dell’organismo infettato, che cerca di sbarazzarsi del virus (solitamente facendo alzare la temperatura: in pratica viene la febbre).

Ci sono molti tipi di coronavirus?
I coronavirus sono piuttosto diffusi tra varie specie di mammiferi e uccelli: infettano il loro apparato respiratorio e gastrointestinale. Da 60 anni circa, sappiamo che in alcuni casi questi virus riescono a passare agli esseri umani, causando sintomi che variano a seconda delle loro caratteristiche. A oggi sono noti sette diversi coronavirus che possono infettare l’uomo, compreso 2019-nCoV, quello da poco scoperto in Cina. I coronavirus sono spesso tra le cause del raffreddore comune, quindi non sono così rari, ma alcuni sono più aggressivi di altri.

Perché “nuovo coronavirus”?
Viene semplicemente definito “nuovo coronavirus” un coronavirus da poco identificato e le cui caratteristiche non sono ancora completamente note; di solito col passare del tempo viene poi indicato un nome diverso, meno scientifico, con riferimento ai sintomi che provoca.

E che sintomi dà il nuovo coronavirus?
Stando alle informazioni fornite finora dalle autorità sanitarie cinesi e da quelle internazionali, il nuovo coronavirus inizialmente causa sintomi simili a un’influenza: congestione nasale (naso chiuso), mal di gola, spossatezza e febbre. In alcuni casi la malattia progredisce, creando un’infiammazione delle strutture più interne dei polmoni, e in mancanza di cure adeguate o per la presenza di precedenti malattie può rivelarsi mortale.

Un uomo viene portato in ambulanza in ospedale a Hong Kong per il sospetto che abbia contratto il coronavirus che ha provocato i contagi a Wuhan e nel resto della Cina (Anthony Kwan/Getty Images)

Come si trattano i pazienti con nuovo coronavirus?
La prima risorsa per contrastare un’infezione virale è il proprio sistema immunitario, che identifica l’infezione e sviluppa la capacità di contrastare il virus, impedendogli di fare ulteriori danni in futuro. Non esistono cure e i medici possono solamente somministrare farmaci per ridurre i sintomi, o per trattare complicazioni come la polmonite, nel caso in cui si presenti. Qualcosa di analogo avviene già con l’influenza, nel caso di pazienti con precedenti problemi di salute.

Quindi non è così grave?
Nel 2009, la pandemia influenzale da virus H1N1 (febbre suina) causò la morte di circa mezzo milione di persone in tutto il mondo. Ogni anno, a causa delle complicazioni dell’influenza comune, muoiono centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. Il nuovo coronavirus sembra essere più aggressivo e – come tutti i nuovi virus – non deve essere sottovalutato fino a quando non se ne comprendono i meccanismi.

E la SARS che c’entra?
In questi giorni si è parlato spesso di sindrome acuta respiratoria grave (SARS, dall’inglese “Severe Acute Respiratory Syndrome”) in riferimento a ciò che sta avvenendo in Cina. La SARS è probabilmente la malattia più conosciuta legata a un coronavirus: il virus che la causa fu identificato tra il 2002 e il 2003 e porta a un’infezione diffusa del sistema respiratorio. Nel 2003 furono registrati circa 8mila casi di SARS, con un tasso di letalità del 10 per cento, quindi molto più alto di quello attuale per 2019-nCoV. All’epoca la Cina fu duramente criticata, dalla stessa Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), per avere inizialmente nascosto le informazioni sui contagi, temendo che notizie di quel tipo potessero danneggiare l’economia in forte crescita del paese.

Chi sta studiando 2019-nCoV?
Centinaia di ricercatori in Cina e in altre aree del mondo stanno studiando le caratteristiche del nuovo coronavirus. A differenza di quanto avvenne con la SARS, le informazioni da parte cinese sono state comunicate con maggiore rapidità all’OMS e, grazie ai progressi tecnologici, il profilo genetico del virus è già a disposizione degli esperti per studiarlo e capire come agisce.

Da dove arriva il nuovo coronavirus?
Con i suoi 11 milioni di abitanti, Wuhan è la più grande città della Cina centrale. Il 31 dicembre 2019, la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan aveva inviato una segnalazione all’OMS, spiegando di avere registrato un certo numero di casi di polmonite con cause ignote. Le indagini avevano messo in evidenza un legame con un mercato di frutti di mare, pollame e altri animali selvatici vivi, ma una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Lancet mette in dubbio questa eventualità (i dati devono però ricevere ulteriori conferme). Una decina di giorni dopo la segnalazione, il Centro per il controllo delle malattie della Cina ha annunciato di avere identificato un nuovo coronavirus, studiando le polmoniti di Wuhan. I tempi di scoperta e segnalazione sono comunque ancora sotto analisi, per capire se si potesse fare prima e meglio.

Perché si parla tanto dei mercati di animali vivi?
In Cina sono molto diffusi mercati in cui si possono acquistare suini, pollame e diverse altre specie selvatiche di animali ritenuti prelibatezze per la cucina locale o utili per la medicina tradizionale, come i pipistrelli. La contiguità tra esseri umani e questi animali, unita alle scarse condizioni igieniche, fa aumentare il rischio che i virus passino da una specie animale agli esseri umani, mutando per adattarsi poi ai nuovi ospiti. Il sospetto è che qualcosa di analogo sia avvenuto in passato, con la SARS, e nelle settimane scorse con il passaggio di 2019-nCoV agli esseri umani, probabilmente proprio dai pipistrelli. Anche per questo motivo, il governo cinese sta lavorando per mettere al bando, o almeno sospendere, le attività commerciali nei mercati di animali selvatici.

Il problema riguarda solo la Cina?
Da sempre i virus circolano e si diffondono in tutto il mondo facendosi dare un passaggio dagli animali che infettano. Un tempo le malattie arrivavano per nave, come avvenne per esempio con la peste nera in Europa nel Trecento, oggi attraverso i viaggi aerei. Il problema non riguarda quindi solo Wuhan e qualche altra provincia della Cina, ma tutto il mondo. Persone provenienti dalla Cina sono risultate infette in diversi luoghi di loro destinazione, come Stati Uniti, Australia, Singapore, Taiwan, Corea del Sud, Vietnam, Canada, Giappone e Francia.

Diffusione del nuovo coronavirus nel mondo (JHU CSSE)

Quanto è contagiosa la malattia?
Attualmente non lo sappiamo con certezza. Il periodo di incubazione, cioè il tempo che passa da quando si viene infettati dal nuovo coronavirus a quando ci si ammala, è in media di 10-14 giorni. Il problema è che secondo diverse segnalazioni si è contagiosi anche nel periodo di incubazione, quindi ancora prima di sviluppare i sintomi. Questa circostanza potrebbe rendere più complicato il contenimento del virus, perché molte persone potrebbero non sapere di essere infette mentre hanno a che fare con altri, o si mettono in viaggio.

Come si viene contagiati?
I coronavirus si possono trasmettere da persona a persona, di solito in seguito a contatti stretti, in famiglia, tra amici, negli ambienti di lavoro e in luoghi molto affollati. Dalle ricerche svolte finora, il primo veicolo di contagio sembrano essere gocce di saliva e di muco da persone infette, con le quali si entra in contatto. La diffusione per via aerea sembra meno frequente, ma anche in questo caso si dovranno attendere altri giorni per avere un numero di casi più significativo da studiare.

Come ci si protegge dal nuovo coronavirus?
Le raccomandazioni delle autorità sanitarie per ridurre il rischio di infezione da 2019-nCoV sono simili a quelle indicate per le altre malattie infettive. Il consiglio è di lavarsi spesso le mani con acqua e sapone (per una trentina di secondi almeno), di starnutire e tossire in un fazzoletto o portandosi l’incavo del gomito alla bocca (in questo modo non si contaminano gli oggetti che si toccano con le mani e, al tempo stesso, non ci si porta nulla alla bocca dopo che si sono toccate superfici che potrebbero essere contaminate). Viene inoltre consigliato di evitare alimenti come frutta e verdura non lavate, bevande non imbottigliate, indicazioni utili soprattutto per chi si trova in luoghi dove è certa la presenza del virus.

Le mascherine servono?
In Cina milioni di persone circolano da giorni con mascherine, di solito di tessuto e simili a quelle che si utilizzano in sala operatoria. Può essere una buona precauzione per le persone malate per ridurre i rischi di contaminazione, mentre non è certo che offrano qualche garanzia in più a chi non vuole entrare in contatto con il nuovo coronavirus. Gli esperti consigliano soprattutto di lavarsi spesso le mani e di evitare di portarsele alla bocca o di toccarsi gli occhi, senza averle lavate prima.

Una stazione di Wuhan il 22 gennaio (Xiaolu Chu/Getty Images)

Come si contiene il virus su larga scala?
La prevenzione, tramite il controllo delle infezioni e dei luoghi in cui si sono verificate, è alla base dei sistemi per prevenire la diffusione di un nuovo virus. L’obiettivo principale è fare in modo che 2019-nCoV si diffonda il meno possibile dalle aree della Cina in cui c’è il maggior numero di contagi. La città di Wuhan e diversi altri centri urbani sono stati posti sotto isolamento, ma non è chiaro se misure così drastiche siano utili, a distanza di settimane dai primi contagi. Un problema è dato dalla quantità crescente di persone che arrivano negli ospedali con i sintomi della malattia: devono essere messe in isolamento e mantenute in questa condizione se si conferma che hanno il nuovo coronavirus. A Wuhan non ci sono posti letto a sufficienza negli ospedali, e anche per questo è in corso la costruzione di un nuovo grande ospedale prefabbricato.

E nel resto del mondo?
Il primo punto di accesso della malattia fuori dalla Cina sono gli aeroporti, quindi i controlli sono eseguiti soprattutto sui voli in arrivo dalle città cinesi. Le procedure, che variano a seconda dei paesi, prevedono solitamente l’ingresso del personale sanitario sugli aerei appena atterrati dalla Cina: utilizzando tute isolanti, gli addetti rilevano la temperatura dei passeggeri e valutano l’eventuale presenza di altri sintomi. È in questo modo che sono stati identificati i casi fuori dalla Cina, e che si sono per ora evitati successivi contagi. Le limitazioni agli spostamenti da parte del governo cinese stanno inoltre favorendo una riduzione dei flussi di cittadini cinesi verso l’estero.

In Europa chi se ne occupa?
Naturalmente i singoli stati membri, che si coordinano con il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) dell’Unione Europea. Nella sua ultima valutazione del rischio, l’ECDC ha definito “alto” il potenziale impatto di una epidemia da 2019-nCoV, definendo probabile una diffusione del virus su scala globale. Il rischio maggiore è dovuto alle persone che sono arrivate da Wuhan e da altre aree della Cina interessate dal problema prima che fosse noto il virus, mentre è più basso per chi arriva ora, considerati i maggiori controlli.

E in Italia?
Da e per l’aeroporto di Roma Fiumicino ci sono solitamente voli diretti con Wuhan, e diversi altri non diretti. La situazione viene tenuta sotto controllo negli aeroporti dagli Uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera (USMAF) e dai Servizi territoriali per l’assistenza sanitaria al personale navigante, marittimo e dell’aviazione civile (SASN), il cui principale lavoro è proprio ridurre i rischi di importazione di malattie infettive.

Gli aeroplani provenienti dalle aree cinesi a rischio sono sottoposti a controlli per rilevare l’eventuale presenza tra i passeggeri di casi sospetti. Nell’eventualità in cui un passeggero abbia sintomi che potrebbero indicare la presenza del coronavirus, è previsto un trasferimento presso l’Istituto Nazionale Malattie Infettive di Roma, con una procedura che garantisca l’isolamento della persona malata.

C’è un vaccino?
La scoperta di un nuovo virus non implica che sia sempre elaborato un vaccino per contrastarlo: molto dipende da quanto quel virus costituisca un rischio e dalla sua capacità di diffondersi. Al momento, la cosa più pratica è contenere il virus riducendo i rischi di nuovi contagi. Le conoscenze sulle caratteristiche del nuovo coronavirus sono via via più precise e non possiamo escludere che, nel caso di una sua grande diffusione, si provveda a elaborare un vaccino, che dovrebbe però poi essere testato e verificato prima di diventare disponibile.

Tutto chiaro, ma c’è da preoccuparsi?
Senza ansie e psicosi. Un nuovo coronavirus non deve essere mai sottovalutato, soprattutto fino a quando non siano note tutte le sue caratteristiche e le modalità in cui muta, per eludere le difese immunitarie. Il numero di casi da 2019-nCoV riscontrato finora è relativamente basso, ma gli esperti concordano sul fatto che continuerà a crescere e che ci potranno essere altri morti. Per ora il virus sembra causare sintomi meno gravi rispetto alla SARS, ma può comunque avere conseguenze serie nelle persone con altri problemi di salute; ci sono inoltre sporadiche segnalazioni di complicazioni anche in soggetti giovani e più in salute che non devono essere trascurate.

In circa un mese, siamo passati da segnalazioni su casi di polmoniti anomale e gravi ad avere un quadro piuttosto dettagliato sul virus responsabile e sui meccanismi che utilizza. Rispetto a casi analoghi del passato, l’accelerazione è stata notevole e consentirà ai ricercatori e alle autorità sanitarie di lavorare meglio, soprattutto al fine di contenere la malattia.