Fare come la Cina ci aiuterà contro il coronavirus?

L’estensione delle restrizioni contro il coronavirus (SARS-CoV-2) a tutta Italia, annunciata lunedì sera dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, non ha precedenti nella storia del nostro paese ed è ampiamente ispirata alle strategie adottate da più di due mesi in Cina, dove l’epidemia è iniziata nella zona di Wuhan. Dopo avere registrato oltre 80mila casi positivi, da tre giorni in Cina non risultano nuovi contagi da coronavirus fuori dalla regione di Hubei in cui si trova Wuhan, dove lunedì sono stati segnalati appena 17 nuovi casi positivi.

Per ottenere questo risultato la Cina ha dovuto impegnare risorse enormi e limitare pesantemente la libertà di movimento di milioni di persone, con conseguenze pesanti e discusse per quanto riguarda la censura delle opinioni e il controllo della popolazione. Il risultato ottenuto nel contenimento del coronavirus è però evidente, e per questo viene osservato con attenzione dalle autorità sanitarie di altri paesi, compresa l’Italia.

Bruce Aylward è un medico con un’esperienza trentennale nell’affrontare crisi sanitarie legate a malattie infettive come ebola e la poliomielite. Di recente ha visitato la Cina come capo delegazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), avendo la rara opportunità di verificare l’efficacia delle misure assunte dal governo cinese e le attività svolte dalle autorità sanitarie. Ha raccontato la sua esperienza al New York Times, offrendo un punto di vista terzo e neutrale sull’epidemia da coronavirus in Cina, con spunti che aiutano a capire che cosa potrà succedere nelle prossime settimane anche da noi.

Dati e progressi
La riduzione dei nuovi casi da coronavirus segnalati dalla Cina è stata giudicata sospetta da alcuni osservatori, considerata la scarsa trasparenza del governo cinese e alcuni precedenti di scarsa collaborazione con le autorità sanitarie internazionali. Aylward ha spiegato di avere visitato diversi laboratori e cliniche, ricevendo informazioni incoraggianti dagli operatori locali sul fatto che la situazione fosse ormai “diversa da tre settimane fa”. Al momento del massimo dell’epidemia c’erano in media 46mila persone che necessitavano di un test per il coronavirus; ora sono all’incirca 13mila e ci sono ospedali con posti letto disponibili.

Aylward ha confermato di non avere notato nulla di strano e che potesse far pensare a una manipolazione dei dati. La dinamica appare piuttosto chiara: un’epidemia che ha raggiunto velocemente il suo picco e che poi è diminuita più veloce di quanto ci si attendesse. Nel mezzo, milioni di persone non sono stati coinvolti proprio in virtù dell’approccio molto aggressivo e drastico da parte delle autorità cinesi.

Isolare e prevenire
Per quanto riguarda i contagi, i dati della Cina suggeriscono che nel 75-80 per cento i contagi interessano nuclei familiari: «Trovi casi di contagio isolati negli ospedali, nei ristoranti e nelle prigioni, ma la grande maggioranza deriva dalle famiglie», ha spiegato Aylward. In Cina provvedono quindi a isolare i membri delle famiglie infetti il prima possibile, in modo da ridurre i rischi di nuovi contagi, e poi vanno alla ricerca di tutti i potenziali contagiati da quella persona nei due giorni precedenti.

L’approccio cinese non è stato semplicemente “bloccare tutto per settimane”, ma ha previsto diversi livelli di prevenzione. È stata comunicata insistentemente alla popolazione la necessità di lavarsi spesso le mani e di evitare i contatti sociali; sono stati spiegati inoltre i sintomi della COVID-19, la malattia causata dal coronavirus.

Poi si è passati a una fase molto articolata di identificazione dei singoli casi sospetti, per esempio attraverso la misurazione della febbre nei luoghi pubblici, e anche sulle autostrade e strade principali. All’identificazione di ogni caso e di possibili contagi, le autorità hanno provveduto a chiudere scuole, teatri e ristoranti. La chiusura totale ha riguardato solamente Wuhan e un certo numero di città circostanti, determinando comunque l’isolamento di decine di milioni di persone (l’area di Hubei è densamente popolata).

Diagnosi e assistenza medica
Quando sono diventate chiare le dimensioni dell’emergenza sanitaria, il governo cinese si è dato da fare per semplificare la gestione dell’assistenza medica. In poche settimane circa la metà dei consulti medici è stata eseguita tramite Internet, in modo che le persone potenzialmente malate non dovessero raggiungere gli ospedali e gli ambulatori, causando ulteriori contagi. Per le persone con necessità particolari, come insulina per trattare il diabete o farmaci per patologie cardiache, è stato approntato un sistema per ottenere le ricette online e farsi consegnare a casa i farmaci.

Le persone sospettate di essere contagiate venivano portate in ambulatori appositi, dove il personale sanitario rilevava la febbre, verificava la gravità degli altri sintomi e i precedenti sanitari. Ai casi sospetti veniva poi chiesto di spiegare nel dettaglio gli spostamenti svolti nelle settimane precedenti e di elencare i contatti avuti con altre persone. Per completare la diagnosi, ogni paziente veniva poi sottoposto a una TAC (tomografia assiale computerizzata) ai polmoni, per verificare il loro stato.

A differenza della comune influenza, la COVID-19 può causare infezioni serie nelle parti più profonde delle vie respiratorie, che portano poi a polmoniti atipiche difficili da trattare (nei casi più gravi). A differenza di una normale radiografia, la TAC consente di avere un quadro clinico più completo, analizzando nel dettaglio le strutture dei polmoni ed eventuali problemi causati dal coronavirus. Nelle cliniche per le diagnosi cinesi ogni macchina per la TAC arrivava ad analizzare fino a 200 pazienti in un giorno, un ritmo molto alto se si considera che normalmente in un ospedale si fanno dalle 2 alle 5 TAC all’ora in periodi di forte richiesta.

Al termine di questa valutazione, se il caso rimaneva sospetto, si procedeva con un tampone per verificare la presenza del coronavirus. Nelle prime settimane erano necessari giorni per avere un risultato, perché c’erano pochi laboratori a occuparsene, le cose sono poi migliorate al punto da richiedere in media 4 ore dal momento del tampone a quello del risultato.

Nelle cliniche per le diagnosi si è comunque assistito a un grande affollamento, perché molte persone arrivavano con sintomi che ritenevano essere legati alla COVID-19. Molte di loro venivano rispedite a casa dopo una valutazione perché avevano banalmente l’influenza stagionale e non la malattia causata dal coronavirus: è per esempio raro che la COVID-19 causi naso che cola e congestione delle vie aeree superiori.

Come abbiamo appreso dalle cronache nei mesi di gennaio e febbraio, naturalmente in Cina non è andato sempre tutto liscio dal punto di vista della valutazione dei casi sospetti. In pochi giorni, per esempio, le autorità sanitarie hanno cambiato almeno due volte il modo in cui svolgevano le diagnosi e quindi la comunicazione degli effettivi nuovi casi positivi al coronavirus. Il sistema di rilevazione si è poi stabilizzato e non ha comunque mai ricevuto critiche da parte dell’OMS, che con il suo personale ha vigilato (fin dove possibile) sulle attività del governo cinese.

Le persone con sospetta COVID-19 e in attesa dell’esito del test non venivano comunque rispedite a casa, ma venivano isolate altrove proprio per evitare ulteriori contagi nelle loro famiglie. All’inizio, quando c’erano difficoltà con i test, questo comportava che migliaia di persone dovessero attendere fino a 15 giorni prima di essere ricoverate (la malattia si manifesta entro un paio di settimane dal momento in cui si è contratto il coronavirus).

Da diverse settimane, le persone con sintomi lievi da COVID-19 vengono tenute in centri di isolamento. Sono stati allestiti in posti come palazzetti dello sport e palestre, e in alcuni casi hanno fino a un migliaio di posti letto. Per le persone con sintomi seri o gravi è invece previsto il ricovero in ospedale. Si è inoltre deciso che le persone con COVID-19 e problemi di salute pregressi siano da subito ricoverate, così come quelle che hanno un’eta sopra i 65 anni.

Ospedali dedicati
Dopo le prime settimane di grande caos e forte stress per le strutture ospedaliere, soprattutto a Wuhan, le autorità cinesi hanno riorganizzato l’intero sistema. Gli ospedali migliori e con grande capacità sono stati assegnati per il trattamento esclusivo dei pazienti con sintomi seri e gravi da COVID-19, chiudendo le sale operatorie e rinviando gli interventi non urgenti. I pazienti con altri problemi di salute, e negativi alla COVID-19, sono stati trasferiti in altri ospedali e cliniche, che gestiscono traumi e altre emergenze cliniche. Questa separazione ha permesso di ridurre il rischio di nuovi contagi negli ospedali, per i pazienti ricoverati per altri problemi di salute.

Aylward ha spiegato di avere visitato ospedali che in alcuni casi appaiono migliori di quelli in Svizzera, dove ha sede l’OMS. In alcune strutture ospedaliere erano disponibili fino a 50 ventilatori (i macchinari per assistere la respirazione dei pazienti) e cinque ECMO (per la circolazione extracorporea), un numero superiore rispetto a quello che si trova generalmente in un ospedale occidentale.

Mobilitazione
Il governo cinese si è fatto carico dell’intera spesa per realizzare nuovi ospedali, creare cliniche per le diagnosi, potenziare le strutture sanitarie esistenti e ingrandire i laboratori per aumentare i test. Ha spesso l’equivalente di decine di miliardi di euro per farlo, assicurando a tutti i pazienti la copertura delle spese per essere diagnosticati e trattati. Complice la propaganda, il governo è riuscito inoltre a stimolare una grande reazione con decine di migliaia di volontari, che si sono dati da fare soprattutto a Wuhan per assistere la popolazione.

E proprio a Wuhan, dove le limitazioni erano tali da impedire alla popolazione di uscire di casa quasi sempre (erano previste eccezioni per un membro di ogni nucleo familiare ogni due giorni), Internet si è rivelata una risorsa preziosa soprattutto per la distribuzione del cibo. Quindici milioni di persone hanno ordinato periodicamente la spesa online, non sempre è andato tutto liscio, ma nel complesso nessuno è rimasto senza rifornimenti.

La chiusura delle scuole nelle aree con maggiori contagi in Cina ha contribuito a rallentare l’epidemia, considerato che diversi studi suggeriscono che i bambini siano meno interessati dalla COVID-19, ma siano comunque veicolo di contagio. Le lezioni sono proseguite online, seppure con qualche difficoltà organizzativa.

Governo totalitario e democrazie
In Cina l’assetto è sostanzialmente totalitario, con enormi poteri e ampi margini in mano al governo per decidere in che misura limitare le libertà della popolazione, compresa quella di potersi spostare ed esprimersi liberamente. Anche per questo motivo molti osservatori sostengono che le misure di contenimento, molto drastiche, attuate dal governo cinese non possano essere ripetute altrove, in paesi con governi democraticamente eletti.

Aylward ha spiegato che l’immagine trasmessa spesso dai media di un paese in cui la popolazione ha paura del governo andrebbe rimodulata:

Ho parlato con molte persone fuori dal sistema: negli alberghi, sui treni, nelle strade in giro la notte. Si sono mobilitati, come in guerra, ed è la paura del virus che li fa andare avanti. Si sono davvero visti in prima linea al fronte per proteggere il resto della Cina. E del mondo. […]
Ci dev’essere un cambiamento nel modo di pensare a una risposta rapida. Pensi di alzare le mani e arrenderti? È un azzardo morale, un giudizio del tutto discrezionale. Chiediti: puoi fare questa cosa? Puoi isolare 100 pazienti? Puoi rintracciare mille persone? Se non puoi, [il coronavirus] scoppierà attraverso la popolazione.

Tornare alla normalità
Ora che i nuovi casi positivi sono diminuiti così tanto, in Cina si inizia un lento ritorno alla normalità, tra grandi cautele e precauzioni per evitare che riprenda il contagio. Questa sorta di grande riavvio sta avvenendo in maniera coordinata tra le province: alcune manterranno ancora a lungo le scuole chiuse, altre stanno consentendo ad alcuni impianti industriali di riaprire, altre ancora di riaprire i flussi di lavoratori dalle altre zone della Cina.

La città di Chengdu nel Sichuan, per esempio, ha circa 5 milioni di lavoratori prevenienti dal resto della Cina. Queste persone potranno tornare dopo avere ricevuto un certificato medico e dovranno sottoporsi a periodici controlli, per misurare la febbre. A Pechino, le persone di ritorno dovranno sottoporsi a una quarantena di due settimane, per assicurarsi che non siano infette e possano poi contagiare i colleghi sul posto di lavoro.

E in Italia?
Su una scala differente, diverse misure assunte in Cina sono state adottate anche in Italia, soprattutto per quanto riguarda l’isolamento delle persone e la chiusura dei principali luoghi di aggregazione sociale, come stadi, cinema, centri culturali, scuole e università. Per gli esercizi commerciali l’approccio italiano è per ora più morbido: bar e ristoranti possono rimanere aperti nelle ore centrali del giorno, a patto che facciano servizio ai tavoli e si assicurino che i clienti mantengano la distanza di un metro, mentre non ci sono particolari limitazioni per i negozi nei giorni feriali.

La suddivisione delle strutture sanitarie tra ospedali esclusivamente per COVID-19 e ospedali per altre malattie appare al momento poco praticabile, considerata la disponibilità sul territorio delle strutture ospedaliere e il modo in cui sono organizzate. Negli ospedali, per quanto possibile, sono comunque state organizzate aree separate dove trattare le persone contagiate, e punti di diagnosi esterni ai pronto soccorso, per evitare contatti con gli altri pazienti.

Dall’inizio dell’epidemia, le autorità sanitarie italiane hanno raccomandato alle persone con sintomi sospetti di rimanere a casa, e contattare il loro medico curante o i servizi sanitari regionali. Questo ha permesso di ridurre i rischi di nuovi contagi in ospedale, ma ha reso difficile il tracciamento delle persone malate, che non ha raggiunto livelli finora comparabili a quelli cinesi. Il mancato isolamento dai nuclei familiari degli infetti potrebbe inoltre comportare un numero più alto dei contagi, con maggiori rischi soprattutto nelle famiglie con persone anziane.

Soprattutto in Lombardia, gli ospedali sono sotto forte stress per il cospicuo numero di persone con COVID-19 che hanno bisogno di assistenza medica. I reparti di terapia intensiva sono al colmo in diversi ospedali, e questo rende più difficile il trattamento dei pazienti gravi, che necessitano per esempio di essere intubati. Il governo ha avviato un piano per aumentare strumentazioni e macchinari di terapia intensiva, ma all’aumentare dei casi potrebbe essere comunque difficile offrire assistenza a tutti.

Una ricerca realizzata a Wuhan su 25mila casi positivi al coronavirus ha di recente messo in evidenza come le politiche di isolamento, anche piuttosto drastiche, abbiano contribuito a ridurre significativamente il numero di persone infettate in media da un soggetto già infetto. Questa riduzione è importante per fare in modo che l’epidemia rallenti e che, infine, raggiunga livelli tali da non costituire un problema per le strutture ospedaliere.

Un rallentamento implica infatti un minor numero di contagi e di conseguenza di persone con sintomi gravi, che avranno poi necessità di un ricovero e di trattamenti in terapia intensiva (un reparto per sua natura con pochi posti). Rimanere a casa, secondo lo studio, ha avuto quindi un ruolo importante nel ridurre i contagi nell’area di Wuhan, e i dati sugli ultimi giorni sembrano confermarlo ulteriormente.

La differenza tra epidemia e pandemia

E perché per ora l’Organizzazione Mondiale della Sanità non parla di pandemia per il coronavirus.

Ieri il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus, durante il punto sui contagi da coronavirus (SARS-CoV-2) ha detto che al momento non si può ancora parlare di “pandemia”, ma solo di “epidemia”. Qual è la differenza?

Le parole “epidemia” e “pandemia” riguardano le malattie infettive, quelle causate da agenti che entrano in contatto con un individuo (come i virus, appunto), si riproducono e ne causano un’alterazione. La differenza tra epidemia e pandemia non ha a che fare con la gravità di una malattia, ma con la sua diffusione geografica. Le malattie infettive, spiega l’Istituto Superiore della Sanità, hanno caratteristiche diverse di diffusione. Alcune sono molto contagiose e altre lo sono meno. In base alla suscettibilità della popolazione e alla circolazione dell’agente infettivo, una malattia infettiva può manifestarsi in una popolazione in forma sporadica, epidemica, endemica o pandemica (“Pan-demos”, in greco, significa “tutto il popolo”).

Il caso sporadico è quello che si manifesta in una popolazione in cui una certa malattia non è sempre presente. Una malattia è invece definita endemica quando l’agente responsabile è stabilmente presente e circola nella popolazione, manifestandosi con un numero di casi più o meno elevato, ma distribuito uniformemente nel tempo.

L’epidemia è la manifestazione collettiva di una malattia, e si verifica quando il numero dei casi aumenta rapidamente in breve tempo e interessa in una particolare area un numero di persone più alto rispetto alla media, per una certa comunità. Gli elementi che portano a un contagio inaspettato e quindi al superamento della soglia di trasmissione possono essere diversi. L’agente infettivo diventa più resistente; varia, cioè si riduce, l’immunità verso quell’agente; oppure l’agente non era prima presente all’interno di una popolazione che dunque si trova ad affrontarlo per la prima volta.

L’OMS parla invece di pandemia quando un nuovo agente patogeno per il quale le persone non hanno immunità si diffonde rapidamente e con facilità in una zona molto più vasta e diffusa rispetto a quella solitamente interessata da un’epidemia. L’OMS identifica sei fasi che portano alla pandemia: una di queste prevede un’area con una presenza di infezioni paragonabile a quella del paese in cui sono iniziati i contagi. I dati che provengono finora da altre parti del mondo, al di fuori della Cina, indicano un numero ancora relativamente basso di nuovi casi e inducono quindi a qualche prudenza nel parlare di pandemia. Tra le pandemie più conosciute nella storia ci fu la cosiddetta “spagnola” che si diffuse tra il 1918 e il 1919, e l’asiatica del 1957.

Mary-Louise McLaws, esperta nel controllo delle infezioni che ha lavorato come consulente dell’OMS, ha spiegato al Guardian che dichiarare una pandemia non è sempre un procedimento automatico e chiaro, perché i parametri utilizzati possono variare. Non esiste una soglia ben definita, come per esempio un numero preciso di decessi o di contagi, né esiste un numero preciso di paesi colpiti che deve essere raggiunto: spetta alla discrezionalità dei responsabili dell’OMS. Il virus della SARS, identificato nel 2003, non venne dichiarato pandemico dall’OMS nonostante avesse interessato 26 paesi, anche perché la sua diffusione fu contenuta rapidamente e poche nazioni ne furono significativamente colpite.

Quali sono i sintomi del nuovo coronavirus

Le cose da sapere e qualche consiglio senza allarmismi su cosa fare se non vi sentite bene e avete dei dubbi: il primo è consultare un medico.

Le notizie dei contagi nella zona di Codogno, in provincia di Lodi (Lombardia), hanno portato nuovo interesse e qualche apprensione per la crisi sanitaria legata al nuovo coronavirus, iniziata alla fine del 2019 in Cina, dove continua a concentrarsi la maggior parte dei casi e delle morti. Il ministero della Salute e le autorità sanitarie lombarde hanno avviato un piano per valutare l’estensione del problema e ridurre il rischio di nuovi contagi. Hanno inoltre chiesto la collaborazione di tutti, invitando le persone entrate in contatto con gli infetti a rivolgersi alle strutture sanitarie, in modo da valutare le loro condizioni e condurre test per verificare l’eventuale presenza del virus.

COVID-19
La malattia causata dal nuovo coronavirus cinese (SARS-CoV-2) è stata chiamata COVID-19 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). “CO” sta per “corona”, “VI” per virus e “D” per “disease” (“malattia” in inglese) e “19” serve per indicare l’anno di identificazione.

Il virus SARS-CoV-2 causa la COVID-19. Di conseguenza, possiamo anche dire che il virus della COVID-19 è il SARS-CoV-2.

Contagio
Il coronavirus si diffonde da persona a persona tramite le piccole gocce che emettiamo con la respirazione, quando tossiamo e quando starnutiamo. Il contagio può essere diretto, per esempio se si è vicini a qualcuno infetto che starnutisce, oppure per via indiretta se il virus è presente su oggetti e superfici.

Come per altre malattie virali, le vie di contagio indiretto possono essere molteplici, ma seguono uno schema piuttosto simile: l’infetto starnutisce o tossisce portandosi una mano alla bocca e poi tocca qualcosa che ha intorno, come la maniglia di una porta; una persona non infetta tocca la maniglia della porta e poi si tocca il viso, portando inconsapevolmente il virus verso le mucose della bocca e del naso, o ancora verso gli occhi.

Incubazione
Il tempo di incubazione – cioè il periodo che intercorre tra il momento in cui si è entrati in contatto con il virus e quando si manifestano i primi sintomi – non è ancora completamente chiaro. In linea di massima, passano dai 2 ai 14 giorni prima di manifestare i sintomi della COVID-19.

Quando si è contagiosi
Di solito con le malattie si diventa contagiosi quando si iniziano ad avere i primi sintomi, ma ci sono patologie in cui si è contagiosi anche nel periodo di incubazione. Per la COVID-19 c’è il sospetto che il contagio possa avvenire anche da parte di persone con il virus ma ancora senza i segni della malattia: alcuni studi pubblicati nelle ultime settimane ne hanno parlato, ma si attendono conferme.

Un’altra ipotesi è che in alcune persone la COVID-19 causi sintomi molto lievi, tali da mantenere gli individui attivi e inconsapevoli di essere malati: questi continuano quindi ad andare al lavoro e a condurre una normale vita sociale, facendo aumentare il rischio di nuovi contagi.

Sintomi
Come abbiamo visto la COVID-19 può essere asintomatica oppure può comportare sintomi simili a quelli di un’influenza: febbre, tosse e difficoltà a respirare; naso che cola e mal di gola sono meno frequenti. Nella maggior parte dei casi il sistema immunitario riesce a contrastare il nuovo coronavirus e a fermarne la moltiplicazione, portando a una guarigione dopo un paio di settimane.

Talvolta i sintomi possono peggiorare e la malattia evolve in una polmonite, con complicazioni che possono essere letali. Il rischio di morte è più alto tra le persone che hanno già altri problemi di salute, come diabete o carenze del sistema immunitario, e tra gli anziani.

Mica avrò la COVID-19?
La COVID-19 può essere inizialmente scambiata per un’influenza (e viceversa), quindi è comprensibile che chi sviluppa qualche sintomo in questi giorni si faccia un po’ di domande. Ai primi sintomi è consigliabile restare a casa, ridurre al minimo i contatti con altre persone e valutare l’evolversi della situazione, come si dovrebbe sempre fare quando si prende l’influenza stagionale, per esempio.

Per ogni dubbio o per avere consigli è bene non farsi un’autodiagnosi su Internet, ma sentire un esperto. Una telefonata al proprio medico di famiglia è il primo passo per valutare la situazione e ricevere istruzioni su come gestirla.

Nel caso in cui i sintomi peggiorino rapidamente, è sconsigliato recarsi direttamente in ospedale o al pronto soccorso. Il consiglio è telefonare al 112 e illustrare la situazione, in modo che sia il personale sanitario a decidere come gestire l’eventuale emergenza. In questo modo si riduce anche il rischio di contagiare altre persone al proprio arrivo in ospedale, senza le dovute protezioni.

Il ministero della Salute ha inoltre messo a disposizione il numero 1500 per ricevere informazioni e consigli sul nuovo coronavirus.

C’è da preoccuparsi?
Con la salute naturalmente non si scherza, ma non bisogna nemmeno farsi inquietare troppo dalle notizie che da settimane leggiamo sul nuovo coronavirus. Secondo il rapporto più completo finora diffuso sulla COVID-19, e basato per lo più su quanto sta avvenendo in Cina, in circa l’81 per cento dei casi la malattia comporta sintomi moderati, mettendo a rischio soprattutto le persone più anziane o che avevano già altre condizioni cliniche. Il 13,8 per cento dei casi ha portato a sintomi gravi e meno del 5 per cento dei casi a condizioni critiche.

Prevenzione
Ridurre al minimo i contatti con le persone contagiose riduce il rischio di contrarre la COVID-19. Le buone pratiche igieniche da seguire sono le stesse consigliate per difendersi dall’influenza stagionale e altre malattie contagiose: lavarsi spesso le mani, non toccarsi il viso con le mani sporche, tossire e starnutire nell’incavo del gomito e non nel palmo delle mani, in modo da ridurre il rischio di trasferire per contatto il virus sulle superfici, se si è contagiosi.

L’Organizzazione mondiale della sanità ha detto che circa 140mila persone sono morte di morbillo nel 2018

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha detto che nel 2018 il morbillo ha infettato quasi 10 milioni di persone e ne ha uccise circa 140mila, perlopiù bambini con meno di cinque anni che non erano stati vaccinati.

Il direttore generale ha detto che «la morte di un bambino per una malattia evitabile con un vaccino fa sinceramente indignare ed è un fallimento collettivo».

I dati sul 2019 forniti dall’OMS non sono ancora definitivi ma mostrano una situazione ancora peggiore: i casi sarebbero infatti aumentati di tre volte nello stesso periodo del 2018.

Gli Stati Uniti hanno già fatto sapere che nel 2019 c’è stato il maggior numero di casi degli ultimi 25 anni mentre nel 2018 quattro paesi europei – l’Albania, la Repubblica Ceca, la Grecia e la Gran Bretagna – avevano perso la qualifica di stati senza morbillo dopo che si erano verificati alcuni casi.

Diritti del malato, cosa succede in casi di malasanità

Purtroppo, sempre più spesso la cronaca ci informa di casi di malasanità in ospedale.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le situazioni inaspettate che arrecano danno al paziente, anche se non intenzionali e non desiderabili, rappresentano il 10% dei ricoveri.

Di questi eventi avversi, si può parlare di errore medico solo se il danno era prevenibile. Tuttavia, la Costituzione Italiana sancisce il diritto alla salute e quindi di ricevere trattamenti medici di prevenzione e cura adeguati.

Per ricevere un risarcimento danni, occorrerà richiedere assistenza legale ad uno studio specializzato in malasanità che riuscirà a dimostrare gli elementi che accertano che si sia trattato di un episodio di malasanità.

Questi elementi fanno riferimento a:

▪ colpa medica cioè il sanitario deve aver seguito un comportamento diverso da quello segnalato dalle linee guide e dalle buone pratiche;
▪ danno al paziente, grave e/o permanente, che superi la soglia di gravità necessaria a giustificare un’azione legale;
▪ nesso causale fra comportamento colposo e danno arrecato al paziente.

Sintesi articolo pubblicato sul sito economia.iltabloid.it