Bando protezione civile cerca 1500 OSS

Procedura di selezione di 1500 professionisti che andranno a supporto delle strutture sanitarie regionali per l’attuazione delle misure necessarie al contenimento dell’emergenze Covid-19.

Covid-19, la Protezione Civile chiama alle armi anche gli OSS

Per la costituzione dell’Unità socio sanitaria in corso di istituzione è aperta la procedura di selezione di 1500 operatori socio sanitari dei quali:

  • 500 presteranno la propria attività presso le residenze sanitarie assistenziali, le case di riposo per anziani, le residenze sanitarie per disabili per un periodo consecutivo di quattro settimane
  • 1000 presteranno la propria attività presso gli istituti penitenziari individuati dal Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità per un periodo consecutivo fino al 31 luglio 2020, termine dello stato di emergenza

La partecipazione all’Unità socio sanitaria è su base volontaria ed è aperta agli operatori dipendenti del Servizio sanitario nazionale, dipendenti di strutture sanitarie anche non accreditate e operatori liberi professionisti.

Requisito per la partecipazione è l’aver conseguito il titolo di “Operatore Socio Sanitario” ai sensi dell’Accordo tra il Ministro della Sanità, il Ministro della Solidarietà Sociale e le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano del 22 febbraio 2001 (GURI 19 aprile 2001, n.91).

Sarà possibile partecipare alla procedura di selezione compilando il form che sarà reso disponibile sul sito osspercovid.protezionecivile.it a partire dalle ore 18:00 del 20 aprile 2020 fino alle ore 20:00 del 22 aprile 2020.

Al fine della individuazione degli operatori da impiegare si terrà conto della maggiore anzianità di conseguimento del titolo di “Operatore Socio Sanitario”.

Per gli operatori da assegnare per le esigenze degli istituti penitenziari si terrà altresì conto prioritariamente della circostanza che l’operatore non sia dipendente e/o titolare di incarichi conferiti dal SSN ovvero da strutture accreditate dal SSN.

L’assegnazione avverrà prioritariamente nella Regione di attuale impiego dell’operatore, laddove possibile e sulla base delle esigenze rappresentate dalle Regioni. La partecipazione alla Unità socio sanitaria prevede il rimborso delle spese di viaggio ed un premio di solidarietà forfettario per ciascuna giornata prestata.

Agli operatori sarà assicurato inoltre il vitto e l’alloggio in loco. Il tutto sarà a cura della Regione nella quale l’operatore presterà la propria attività. Se il profilo sarà ritenuto idoneo l’operatore sarà contattato per definire nel dettaglio le modalità di impiego.

Come si definisce “guarito” un paziente con coronavirus

È un’informazione che viene messa molto in evidenza dalla Protezione Civile, ma non è così significativa per comprendere l’epidemia.

Oltre a citare i nuovi casi positivi da coronavirus, ogni giorno la Protezione Civile comunica il numero delle persone “guarite” dalla COVID-19, la malattia causata dal virus SARS-CoV-2. Secondo i dati più recenti, riferiti al pomeriggio di martedì 3 marzo, i guariti in Italia finora sono stati 160 su 2.502 persone risultate positive ai test per la ricerca del coronavirus. La definizione “guariti” però è piuttosto generica e semplifica valutazioni cliniche un poco più complicate, che sono però utili per farsi meglio l’idea di che cosa voglia dire guarire dal coronavirus.

Guarire da un virus
Definire con esattezza la guarigione da un virus è complicato: quando ci si ammala, si manifestano sintomi che tendono a diventare più lievi e poi a scomparire man mano che il sistema immunitario riesce a contrastare l’infezione. La febbre, per esempio, è una reazione dell’organismo per impedire all’agente che ha causato l’infezione di replicarsi, causando ulteriori danni. La scomparsa dei sintomi per qualche giorno indica che è avvenuta la guarigione e che il sistema immunitario ha imparato a riconoscere una nuova minaccia, serbandone il ricordo per evitare di subire un nuovo attacco in futuro (abbiamo semplificato molto, e in alcuni casi la memoria del sistema immunitario non si rivela così efficace).

Guarire da COVID-19
La COVID-19, la malattia causata dal coronavirus, è nota da un paio di mesi e ci sono quindi ancora informazioni limitate sia dal punto di vista scientifico sia da quello clinico. In Italia, il Gruppo di lavoro permanente del Consiglio Superiore di Sanità ha diffuso a fine febbraio un documento nel quale definisce i criteri per poter definire “guarita” una persona.

Clinicamente guarito
Un paziente viene definito “clinicamente guarito” da COVID-19 quando non mostra più i sintomi della malattia, che comprendono: febbre, mal di gola, difficoltà respiratorie e nei casi più gravi polmonite con insufficienza respiratoria.
La definizione “clinicamente guarito” non esclude che a un test per rilevare la presenza del coronavirus, tramite un tampone, il paziente risulti ancora positivo.

Guarito
Un paziente viene definito “guarito” quando non ha più i sintomi della COVID-19 e risulta negativo a due test consecutivi, eseguiti a distanza di 24 ore uno dall’altro, per la ricerca del coronavirus.
Il Gruppo di lavoro permanente consiglia inoltre di ripetere il test, almeno dopo una settimana, per i pazienti che risultano positivi e che però non mostrano più sintomi.

Eliminazione del virus
C’è poi un’ulteriore definizione che viene usata per indicare le persone in cui il codice genetico (RNA) del coronavirus non è più rilevabile. Questa eliminazione può riguardare sia gli individui che hanno mostrato sintomi della COVID-19, sia persone risultate positive ma prive di sintomi. L’eliminazione viene di solito accompagnata dalla presenza di anticorpi prodotti dall’organismo per contrastare specificamente l’attuale coronavirus (SARS-CoV-2).

Per definire “scomparso l’RNA”, e quindi eliminato il virus, due test molecolari effettuati a distanza di 24 ore uno dall’altro devono dare esito negativo.

I test possono dare falsi positivi e negativi, anche se non sappiamo ancora in che misura e con quale frequenza: per questo motivo è importante che ci sia un successivo controllo da parte dell’Istituto Superiore di Sanità.

Sulla base delle informazioni disponibili finora in letteratura scientifica, e sulla base dell’esperienza clinica, il Gruppo di lavoro ritiene che:

Due test molecolari consecutivi per il SARS-CoV-2, con esito negativo, accompagnati nei pazienti sintomatici dalla scomparsa di segni e sintomi di malattia, siano indicativi di “clearance” [“eliminazione”, ndr] virale dall’organismo. L’eventuale comparsa di anticorpi specifici rinforza la nozione di eliminazione del virus e di guarigione clinica e virologica.

Incubazione e test
Il coronavirus ha un tempo di incubazione medio intorno alla settimana, con un massimo di 14 giorni: significa che dal momento in cui si è contratto il virus al momento in cui si sviluppano i sintomi possono passare fino a due settimane. Una persona che non mostra ancora sintomi può quindi risultare ugualmente positiva ai test perché ha comunque già il coronavirus: in questo caso, viene consigliato di ripetere il test non prima di 14 giorni dal precedente, in modo da verificare l’effettiva negativizzazione (parola complicata per dire che il paziente è diventato negativo al test).

È un dato utile?
Diversi esperti hanno fatto notare che il dato dei guariti non è così rilevante per una malattia come la COVID-19, dove abbiamo ormai chiare evidenze cliniche sul fatto che la maggior parte degli infetti guarisce. Il capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, sembra essere comunque molto interessato a questo dato per ridurre le ansie nell’opinione pubblica: è quasi sempre la prima informazione che fornisce durante le conferenze stampa.

La situazione del coronavirus in Italia

Ci sono 650 casi di contagio confermati, 17 morti e 45 guariti, secondo gli ultimi dati diffusi dalla Protezione Civile.

Secondo gli ultimi dati ufficiali di giovedì 27 febbraio, in Italia sono stati accertati finora 650 casi di contagio da coronavirus (SARS-CoV-2): sono 403 in Lombardia, 111 in Veneto, 97 in Emilia-Romagna, 19 in Liguria, 4 in Sicilia, 3 nelle Marche, 3 nel Lazio e 3 in Campania, 2 in Piemonte, 2 in Toscana, 1 in Abruzzo, 1 in Puglia e 1 nella Provincia autonoma di Bolzano. Di questi, 248 sono ricoverati con sintomi e 56 sono in terapia intensiva, mentre 284 si trovano in isolamento domiciliare. Le persone guarite sono 45, di cui 40 in Lombardia, mentre le morti legate al coronavirus sono 17.

Al momento sono stati individuati due focolai del virus: uno nel lodigiano, dove si trova anche Codogno, la città in cui è stato confermato il primo caso in Italia, e uno a Vo’, in provincia di Padova. Ci sono anche molti altri casi di contagio in Italia che sembrano essere legati a questi due focolai. Lo stesso vale per molti casi di contagio in Europa degli ultimi giorni: ne sono stati confermati in Spagna, Svizzera, Lituania, Austria, Croazia, Francia, Germania, Danimarca, Paesi Bassi e sembrano tutti avere a che fare con l’Italia. Lo stesso vale per alcuni casi recenti in Brasile e in Nigeria.

Durante la conferenza stampa di mercoledì pomeriggio, il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli aveva spiegato che i dati sui contagi sono forniti in base alle comunicazioni delle regioni e del ministero della Sanità, e che c’è un altro numero di contagi che invece viene invece fornito dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) dopo aver effettuato le controprove sui campioni inviati dalle regioni, e quindi con tempi più lunghi: in questo caso i contagi confermati dall’ISS a oggi sono 282.

Tutti i test che vengono fatti a livello locale, e poi ripetuti per una seconda conferma, devono infatti essere trasmessi all’Istituto Superiore di Sanità per un terzo controllo, il più preciso: solo a quel punto un test positivo può essere contato come un vero caso di contagio. Sono passaggi di controllo importanti perché i primi test non sono sempre completamente affidabili e a volte essere imprecisi e dare risultati errati.

Giovedì, durante una conferenza stampa con la stampa estera, il direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani di Roma Giuseppe Ippolito ha detto che si sta lavorando per cambiare il modo in cui vengono comunicati i dati sui contagi del coronavirus in Italia, affinché vengano comunicati solo quelli clinicamente rilevanti, «ovvero i casi clinici di pazienti in rianimazione o morti, come avviene negli altri paesi del mondo». I positivi ai tamponi fatti per qualsiasi altro motivo andranno invece in una lista separata, ha detto Ippolito.

Mercoledì sera si è molto parlato della situazione a Milano, dopo la decisione della regione Lombardia di rivedere l’ordinanza con cui dopo i primi casi di coronavirus era stato deciso di chiudere bar e locali pubblici dalle 18 alle 6 del mattino, come misura precauzionale.

Pur non modificando l’ordinanza originale, la regione ha spiegato che a certe condizioni – per esempio quella di effettuare servizio al tavolo e non al banco – i bar sarebbero potuti tornare ai loro consueti orari di servizio. Sempre mercoledì si è parlato del contagio di una stretta collaboratrice del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, e lo stesso Fontana e diversi altri dipendenti della Regione si sono sottoposti ai test (almeno nel caso di Fontana risultati per ora negativi).

Giovedì, inoltre, è stata annunciata la riapertura al pubblico del Duomo di Milano, che aveva chiuso ai turisti domenica scorsa. Il Duomo riaprirà da lunedì 2 marzo, ma gli ingressi saranno contingentati e i biglietti si potranno acquistare solo online.