L’OMS ha sospeso i test sull’idrossiclorochina

Lo ha fatto «per abbondanza di precauzione», e dopo settimane in cui era stata indicata come possibile rimedio al coronavirus soprattutto da alcuni leader politici.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha sospeso i test sull’efficacia contro il coronavirus dell’idrossiclorochina, un farmaco per la malaria che secondo valutazioni preliminari era stato descritto come potenzialmente utile per prevenire l’infezione da coronavirus (senza alcuna conferma scientifica). La settimana scorsa il presidente statunitense Donald Trump aveva detto di avere iniziato una terapia a base di idrossiclorochina, mentre da tempo varie sperimentazioni erano state avviate un po’ in tutto il mondo, anche in Italia.

L’OMS non ha fornito molti dettagli sulla sua decisione. Mike Ryan, capo del programma che si occupa delle emergenze sanitarie, ha detto che è stata presa «per abbondanza di prudenza». Il capo dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha aggiunto che la sperimentazione sull’idrossiclorochina è l’unica ad essere stata interrotta fra quelle gestite dall’OMS, comprese sotto il nome di SOLIDARITY.

Si era iniziato a parlare dell’impiego dell’idrossiclorochina contro la COVID-19 a febbraio, in seguito a un test di laboratorio che aveva evidenziato la sua capacità di impedire al coronavirus di legarsi alle cellule, primo passaggio per poterle poi sfruttare per replicarsi. Il test era stato eseguito in vitro, quindi non in un organismo, e aveva alcuni limiti nella sua realizzazione. Uno studio fatto in Cina aveva invece incluso un gruppo di controllo, rilevando qualche miglioramento nei pazienti con casi poco gravi di COVID-19. Anche in quel caso la ricerca aveva coinvolto un numero limitato di persone.

L’OMS aveva comunque raccomandato ai medici di tutto il mondo di non prescrivere l’idrossiclorochina al di fuori dei test clinici, dato che la sua assunzione può provocare diversi effetti collaterali.

La differenza tra epidemia e pandemia

E perché per ora l’Organizzazione Mondiale della Sanità non parla di pandemia per il coronavirus.

Ieri il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus, durante il punto sui contagi da coronavirus (SARS-CoV-2) ha detto che al momento non si può ancora parlare di “pandemia”, ma solo di “epidemia”. Qual è la differenza?

Le parole “epidemia” e “pandemia” riguardano le malattie infettive, quelle causate da agenti che entrano in contatto con un individuo (come i virus, appunto), si riproducono e ne causano un’alterazione. La differenza tra epidemia e pandemia non ha a che fare con la gravità di una malattia, ma con la sua diffusione geografica. Le malattie infettive, spiega l’Istituto Superiore della Sanità, hanno caratteristiche diverse di diffusione. Alcune sono molto contagiose e altre lo sono meno. In base alla suscettibilità della popolazione e alla circolazione dell’agente infettivo, una malattia infettiva può manifestarsi in una popolazione in forma sporadica, epidemica, endemica o pandemica (“Pan-demos”, in greco, significa “tutto il popolo”).

Il caso sporadico è quello che si manifesta in una popolazione in cui una certa malattia non è sempre presente. Una malattia è invece definita endemica quando l’agente responsabile è stabilmente presente e circola nella popolazione, manifestandosi con un numero di casi più o meno elevato, ma distribuito uniformemente nel tempo.

L’epidemia è la manifestazione collettiva di una malattia, e si verifica quando il numero dei casi aumenta rapidamente in breve tempo e interessa in una particolare area un numero di persone più alto rispetto alla media, per una certa comunità. Gli elementi che portano a un contagio inaspettato e quindi al superamento della soglia di trasmissione possono essere diversi. L’agente infettivo diventa più resistente; varia, cioè si riduce, l’immunità verso quell’agente; oppure l’agente non era prima presente all’interno di una popolazione che dunque si trova ad affrontarlo per la prima volta.

L’OMS parla invece di pandemia quando un nuovo agente patogeno per il quale le persone non hanno immunità si diffonde rapidamente e con facilità in una zona molto più vasta e diffusa rispetto a quella solitamente interessata da un’epidemia. L’OMS identifica sei fasi che portano alla pandemia: una di queste prevede un’area con una presenza di infezioni paragonabile a quella del paese in cui sono iniziati i contagi. I dati che provengono finora da altre parti del mondo, al di fuori della Cina, indicano un numero ancora relativamente basso di nuovi casi e inducono quindi a qualche prudenza nel parlare di pandemia. Tra le pandemie più conosciute nella storia ci fu la cosiddetta “spagnola” che si diffuse tra il 1918 e il 1919, e l’asiatica del 1957.

Mary-Louise McLaws, esperta nel controllo delle infezioni che ha lavorato come consulente dell’OMS, ha spiegato al Guardian che dichiarare una pandemia non è sempre un procedimento automatico e chiaro, perché i parametri utilizzati possono variare. Non esiste una soglia ben definita, come per esempio un numero preciso di decessi o di contagi, né esiste un numero preciso di paesi colpiti che deve essere raggiunto: spetta alla discrezionalità dei responsabili dell’OMS. Il virus della SARS, identificato nel 2003, non venne dichiarato pandemico dall’OMS nonostante avesse interessato 26 paesi, anche perché la sua diffusione fu contenuta rapidamente e poche nazioni ne furono significativamente colpite.