Veebot, il flop dell’infermiere robotico

Veebot azzecca la vena. Ma solo su 25 pazienti.

A cinque anni dalla sua presentazione ufficiale, l’infermiere robotico “Veebot”, capace di praticare punture venose anche su pazienti problematici, non sembra avere avuto il successo sperato dai suoi progettisti. 

Improponibile in Italia per ragioni normative oltre che etiche, per gli investitori di Mountain View, in California, proprietari del prototipo, questa tecnologia doveva diventare un presidio medico diffuso in tutto il mondo. Ma così non è stato, almeno per ora.

Il loro sistema brevettato “Veebot”, grazie ad un sistema di lettura ad ultrasuoni che offre una visione simile a quella ecodoppler, individua il punto migliore di accesso per “prendere” la vena. Un puntatore laser calibra la corretta angolazione e la giusta profondità in base al calibro del vaso, infine un pistone spinge nella vena l’ago che è collegato a un tubicino con raccordo internazionale per l’innesto della siringa per infusione di liquidi o vacutainer per i prelievi ematici. 

Un’app caricata su smartphone permette a un operatore o allo stesso paziente di interagire con l’infermiere robotico indicando la sede della puntura. Secondo i progettisti, nell’83 percento dei casi il loro infermiere robotico “becca” la vena giusta al primo tentativo.

C’era da fidarsi? Da come hanno risposto i mercati (del “Veboot” non c’è traccia nelle cronache recenti), si direbbe di no. La stessa start-up californiana si presentava già allora (2013) con una scarsissima casistica. Il nostro prototipo – si legge sul sito della Veebot – ha ottenuto con successo l’accesso vascolare su oltre 25 soggetti, da uomini in sovrappeso a donne minute. Davvero molto pochi. 

La Veebot è stata fondata nel 2010 da un team di ingegneri di Princeton e Stanford e da un medico del Duke Medical. Nel 2012, Veebot è stato selezionato per essere membro del programma Stanford StartX Med. Siamo intenzionati a portare a termine la nostra missione – si legge ancora sul sito internet della Veebot – e crediamo che un giorno le nostre tecnologie diventeranno strutture mediche diffuse in tutto il mondo.


Fonte: Nurse24.it